Destrezza

Matteo Salvini, Renato Farina: "Ha soffiato Berlinguer alla sinistra ma tranquilli, non è comunista"

Renato Farina

 Ci fu un libro di Anonimo, in realtà Gianfranco Piazzesi, intitolato «Berlinguer e il Professore», anni 70. Oggi siamo a «Berlinguer e il Capitano», alias Matteo Salvini, il quale ha osato parlare bene del cugino comunista di Cossiga, addirittura proclamando la Lega come erede dei «valori di una certa sinistra, quella di Berlinguer, degli operai e degli insegnanti, quella degli artigiani e del lavoro». Pertanto ritiene «un bel segnale» il trasferimento degli uffici romani del Carroccio in via delle Botteghe Oscure, giusto davanti al palazzo che fu sede dello stato maggiore del Pci, indi «abbandonato dal Partito democratico» (Salvini, ieri, all'Aria che tira, La7). Orrore, scandalo. Non della destra, come ci si aspetterebbe, e come saremmo tentati di fare noi stessi che stimiamo Stalin solo perché ha ammazzato più comunisti di tutti (Montanelli dixit), bensì della sinistra. Non l'avesse mai fatto. A Salvini sono saltati in testa, con convulsioni da tarantolati, sia i capi azzimati sia la teppa dei compagni: tutti a reclamare il possesso esclusivo delle reliquie berlingueriane. I morti e le loro opere non appartengono più alla propria parte, grande o piccola che sia, ma versano il loro lascito all'umanità. È capitato a Gesù Cristo di essere qualificato come primo comunista, primo liberale, primo ribelle eccetera, lo citano volentieri gli atei, e neanche il Papa si lamenta; non si vede perché Berlinguer non possa dare consigli postumo alla Lega. Un po' di senso dell'ironia non guasterebbe.

Sacrilegio - Niente da fare. Paragonarsi a Berlinguer, è stato considerato sacrilegio. Manca solo che denuncino Salvini per vilipendio di cadavere, art. 410 codice penale. La salma, imbalsamata e interpretata dagli assai inferiori successori e seguaci, deve restare intoccabile nel sarcofago vigilato dalle guardie rosse di vergogna. Avrebbero preferito di gran lunga, invece dei complimenti, un Alberto da Giussano pronto a sputare su quella memoria. E che, visto che avrà l'ufficio soprastante a quello del glorioso compagno avesse rivendicato, in caso di necessità, la soddisfazione di orinare col pensiero sulla storica scrivania del successore di Togliatti. Allora sì, sarebbe stato perfetto, identico al nemico con gli occhi da Hannibal e la lingua da trivio che quelli di sinistra amano raffigurare. Volgare e scemo. Invece Salvini ha detto qualcosa di vero e intelligente a proposito di operai e artigiani (insegnanti non credo). I numeri, che sono gli unici valori a pesare in democrazia, dicono che i metalmeccanici di Berlinguer sono saltati sul Carroccio. Quello di Alberto da Giussano è ormai il partito maggioritario dei lavoratori di officine e fabbriche grandi e piccole, al punto che hanno dichiarato di votare Lega molti tesserati della Cgil. Berlinguer, con la sua eleganza e sobrietà, piaceva moltissimo agli operai e ai borghesi. Non hanno mai capito che cosa fosse «eurocomunismo», ma agli operai bastava la seconda parte della parola e ai borghesi la prima parte, per applaudire uno che era così fine, e conquistava al partito anche gli aristocratici perché come il segretario del Pci beveva il tè in vestaglia non c'era nessuno, secondo la criticatissima e perfetta vignetta di Forattini. Non era dileggio, spiegava con una iperbole l'unicità del fenomeno: di un Partito comunista che continuava a incassare l'oro di Mosca, succhiato agli zero dei Gulag, ed era al 35 per cento dei consensi.

La lezione - Un tocco magico che ha tanto da insegnare. Salvini non è uno sprovveduto, e ha capito che se vuole essere il capo di un partito maggioritario deve includere piuttosto che escludere, non limitare il proprio perimetro in un unico ambito sociale e culturale. Questa capacità di rapporto con la gente comune, la disponibilità a raggiungere il popolo ovunque, fino a crepare in un comizio, come davvero accadde a Berlinguer (Padova, 7 giugno 1984) resta un esempio da cui un leader ha da attingere. Lo stimato de cuius preferiva il tè al mojito? Non ci si fossilizza su un aperitivo... I gerarchi e gerarchetti del Partito democratico non riescono a capacitarsi tuttora dell'accaduto. Per costoro il cambio di colore delle masse popolari dal rosso al verde, e comunque al centrodestra, resta un furto di vernice. Il vento del cambiamento d'epoca non lo percepiscono. Per questo stanno attaccati con un feticismo superstizioso ai sepolcri, convinti di assorbire il carisma magico della sacra salma. Ma in politica il carisma e la capacità di comunicazione funzionano se sono radicate negli interessi profondi di coloro cui chiedi il consenso. Se la sinistra dimentica i protagonisti del lavoro inseguendo la retorica degli ultimi, anche una seconda venuta di Berlinguer, portato in braccio non più da Benigni ma da Fiorello e Crozza, sarebbe l'apparizione di un fantasma.

Valhalla rosso - Il fatto è che la sinistra italiana non sa reggere con dignità i momenti in cui la storia ti taglia le gambe, e non sopporta l'invasione simbolica di Salvini, per questo getta anatema. Il successore di Bossi deve aver toccato per caso o per malizia la pietra del meccanismo che ha fatto scattare il Codice Rosso. È penetrato nei confini mentali del loro Valhalla segreto, dove passeggiano Marx, Lenin e Berlinguer, i venerati archetipi della loro religione mai perduta, anche se ufficialmente rinnegata almeno nei più: Botteghe Oscure = Berlinguer = Comunismo. Pronti al ridicolo di rinfacciare alla Lega 49 milioni che sta peraltro restituendo allo Stato, quando Berlinguer, Togliatti, Cossutta, Napolitano non hanno restituito un rublo ai milioni di prigionieri innocenti che con il loro lavoro forzato hanno finanziato e lucidato gli ottoni e i mobili di Botteghe molto Oscure.