Dopo Napolitano
Silvio Berlusconi, l'appello di Pietro Senaldi a Sergio Mattarella: "Senatore a vita? Un riscatto per il Quirinale"
La presidenza della Repubblica è rimasta l'unica istituzione che gode di un certo prestigio presso i cittadini italiani. Questo malgrado gli inquilini del Quirinale, specialmente gli ultimi, non siano sempre stati inappuntabili e al di sopra delle parti, come il ruolo richiederebbe. La ragione dell'autorevolezza non intaccata è che il capo dello Stato non ha l'onere del governo ma un potere di controllo e indirizzo che esercita attraverso la dissuasione, la persuasione, la pressione gentile ma determinante. Il presidente non deve far promesse che non può mantenere, a differenza dei leader politici, e non gli è chiesto di tirare fuori il coniglio dal cilindro per risolvere in un istante problemi che il Paese si porta dietro da decenni.
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Benché sia un giocatore che non tocca mai il pallone il suo ruolo è decisivo nell'accompagnare il Paese verso il burrone o la risalita. L'unico potere insindacabile e personale, a parte quello di concedere la grazia ai condannati, di cui Mattarella dispone, è la nomina dei senatori a vita, con la quale premia chi ha dato lustro alla Repubblica. È un riconoscimento che può avere anche un valore prevalentemente simbolico, come è stato nella scelta di Elena Cattaneo, la scienziata designata quando aveva solo 51 anni per dare un segnale alle donne che lavorano e al mondo della ricerca. Alla luce delle ultime novità giudiziarie, il presidente, esimio giurista, potrebbe considerare di concedere il laticlavio a vita a Berlusconi. L'uomo è divisivo, forse non troppo amato dall'attuale capo dello Stato, e addirittura detestato dai suoi predecessori e da mezzo Paese, ma è indubitabilmente vittima della giustizia italiana. Di più, Silvio è il simbolo di tutti gli oppressi dallo strapotere delle toghe, quasi sempre impunite quando abusano del loro ruolo. Non può ammetterlo, ma in cuor suo perfino Travaglio sa che è così.
LA SENTENZA
D'altronde, un audio di uno dei giudici che condannò il Cavaliere e una sentenza del tribunale di Milano hanno confermato il sospetto che tutti gli italiani di buon senso e non partigiani nutrivano: la condanna con la quale Silvio Berlusconi venne estromesso dal Parlamento e di fatto dimezzato politicamente non solo è ingiusta ma fu decisa per eliminare lo storico rivale della sinistra. Proprio come, l'anno scorso, i magistrati decisero di incriminare Salvini per un reato - sequestro di persona - che sapevano che il segretario leghista non aveva commesso, con l'unico intento di fiaccare il leader più popolare d'Italia. Non è un'illazione nostra ma il contenuto emerso dalle loro conversazioni private. L'audio del giudice dice che la condanna fu «una mascalzonata, una vicenda guidata dall'alto, un verdetto emesso da un plotone d'esecuzione» messo insieme alla bisogna. La sentenza è quella del processo civile generato dalla condanna di Silvio per frode fiscale e afferma che Mediaset non gonfiò le fatture alla società di intermediazione di Agrama e quindi non si macchiò del reato di evasione fiscale.
Berlusconi, quindi, si ritrova mazziato, perché condannato penalmente per frode fiscale, e cornuto, visto che i giudici civili gli negano la restituzione dei soldi in eccesso in quanto ritengono che le fatture non fossero state artefatte e il prezzo fosse equo. L'ennesima pagina incresciosa della nostra giustizia, aggravata dal fatto arcinoto che in seguito alla condanna Berlusconi fu cacciato dal Parlamento per l'applicazione tardiva della legge Severino, che fa decadere gli eletti condannati. Truccarono la punizione come una sanzione amministrativa, per aggirare il codice di procedura penale, che vieta condanne per fatti antecedenti all'entrata in vigore della norma che li sanziona. La fine politica di Silvio fu determinata dall'azione comune della parte ideologizzata della magistratura e della sinistra parlamentare, che agirono sotto lo sguardo benedicente, se non addirittura dietro la spinta, dell'allora presidente della Repubblica Napolitano.
IL RISCATTO
Si sapeva già, ma oggi è tutto chiaro, scritto in atti giuridici. Ora il capo dello Stato ha l'opportunità di lanciare un altro messaggio importante. La giustizia vive il suo momento più buio per colpa dei suoi vertici, che si sono spartiti le nomine con criteri di appartenenza politica e hanno pilotato inchieste in base alle proprie aderenze partitiche. Questo ha screditato tutta l'attività investigativa delle procure degli ultimi vent' anni almeno. La giustizia, o quel che ne resta, farà il suo corso, ma siccome il detto «cane non morde cane» ha una sua feroce veridicità, è difficile che dal fango che ha travolto l'Associazione Nazionale Magistrati escano condanne esemplari e una riforma seria del sistema.
Mattarella è, secondo la Costituzione, il capo dei magistrati. Non gli chiediamo di fare il giustiziere, né di rammendare la giustizia, tantomeno di ripristinarla. Non è compito suo ma della politica. Lui però può dare un segnale agli italiani onesti e ai magistrati. La nomina di Silvio a senatore a vita, idea lanciata per prima dalla grintosa e pirotecnica senatrice Ronzulli, è un risarcimento a lui e a tutti gli italiani che hanno creduto in lui. E sarebbe anche un modo di riscattare il Quirinale, un gesto di discontinuità dopo l'esercizio di Napolitano, il cui comportamento non è sempre stato all'altezza e rispettoso del ruolo. Berlusconi non è da meno di lui né degli altri senatori a vita Monti, Cattaneo, Rubbia o Piano. Lasciamo stare la Segre, reduce da Auschwitz, la cui nomina viaggia su altri piani e che Mattarella decise per dare un segnale contro il razzismo e la discriminazione. Oggi serve un altro messaggio, da indirizzare ad altri aguzzini.