A Natale buffet o cena?
A Natale buffet alla francese o tradizionale cenone? È questo il quesito che divide cuochi e appassionati di cucina di tutt’Italia. La querelle ha origine dalle affermazioni di Paolo Massobrio, autore di libri di cucina e fondatore di Papillon, secondo cui «il cosiddetto menu alla francese» vuol dire «abolire le portate e mettere tutto in tavola, dando spazio magari ad una sola portata di sostanza. E questo per lasciare ai commensali la libertà di scegliere le porzioni che desiderano, ma anche evitare che qualcuno a Natale rimanga relegato in cucina. Insomma meno forma e più sostanza». Per alleggerire le donne che passano tutte le feste davanti ai fornelli e si sottopongono al giudizio dei commensali, un buffet sarebbe perfetto, secondo Massobrio: «Il giorno di Natale dovrebbe essere quello più riposante, rischia di diventare un accumulo di incombenze». Inoltre, «manca un personaggio fondamentale del passato che è la massaia: oggi non c'è più, al suo posto c'è una donna che lavora come l'uomo e che magari arriva alla vigilia delle feste con lo stesso giusto desiderio di riposo e relax». Ma non è questo l’unico motivo della proposta: viene bocciata l'abbuffata per motivi pratici, ma anche per dare più importanza allo stare insieme rispetto al cibo. L'enogastronomo promuove la convivialità rilassata, «non necessariamente accoppiata al movimento delle mandibole». Infine non si possono ignorare la linea e la salute: «Siamo ipernutriti oppure nutriti in modo disordinato e quindi in sovrappeso». Ma allo slogan di meno forma e più sostanza in molti rispondono. Lo chef Antonello Colonna proprio non ci sta e replica direttamente a Massobrio: «Dimentichiamo che esista la cucina francese, e lasciateci la cucina tradizionale che è ormai sport nazionale. Con i preparativi di una ricorrenza da condividere con la famiglia, il partner, gli amici, dove tutti - uomini, donne, nonne, e soprattutto bambini - vorranno dar prova di saper fare ravioli, cappelli e cappellacci». Secondo Colonna, in un momento di grande valorizzazione dei nostri prodotti, dove sono proprio le massaie, il pubblico dei programmi televisivi, i lettori, gli enoappassionati, a seguire tutto ciò che riguarda la buona tavola, si vuol togliere agli italiani il piacere di dare prova delle proprie competenze: «Con tutto questo fiorire di corsi di cucina, didattica a tema alimentare nelle scuole, pubblicazioni e programmi, sarebbe come far fare gli allenamenti, senza gara finale. A Natale, tutti ai fornelli, a celebrare la gastronomia come sport nazionale». Non è un auspicio, ma un dato di fatto, precisa lo chef: «Io che incontro 30 mila persone al mese in questi giorni, tra i tavoli del mio locale, non sento altro che voglia di tornare a casa, per ritrovarsi accanto chi della propria nonna chi del proprio amore, a riscoprire un sapore, un prodotto, un piatto speciale, che nella vita di tutti i giorni possiamo solo sognare».