Nuovi equilibri
Casini azzera i vertici UdcNasce Tecnocrazia cristiana
Pier Ferdinando Casini pone la prima pietra del partito della nazione e assicura che ora «nulla sarà più come prima». Eccola, dunque, la nuova invenzione casiniana, che ha preso in contropiede il Pdl, il Pd e lo stesso governo di Mario Monti. Non siamo in piazza San Babila, ma nel luogo dove Gianfranco Fini pose fine al Pdl uscito dal congresso fondativo con il suo «che fai mi cacci?» rivolto a Silvio Berlusconi. Da qui inizia la nuova avventura per riunire tutti i moderati italiani. Una sorta di predellino centrista da cui il leader dell’Udc chiama a raccolta un po’ tutti. Fini, Rutelli, in primis. Ma anche società civile, movimenti laici e cattolici, personalità come Emma Marcegaglia e Luca di Montezemolo (che però è tentato anche dal Cav). Qualcuno spera Raffaele Bonanni. E naturalmente pezzi di Pdl e Pd. Nel primo caso ci sono già i 29 parlamentari guidati da Beppe Pisanu (tra cui Lamberto Dini, Andrea Pastore e Ferruccio Saro), pronti ad andare oltre il Pdl per costruire una nuova grande forza politica, in perfetta sincronia con l’uscita casiniana. Ma l’operazione ha anche lo scopo di costruire un tetto politico a tutti quei ministri desiderosi di continuare il loro impegno anche dopo la fine del governo tecnico. Corrado Passera, per esempio, o Andrea Riccardi. Magari Lorenzo Ornaghi. Forse Anna Maria Cancellieri e Paola Severino. L’obbiettivo di Pierferdi è una nuova forza che sia un giusto mix di politici, tecnici e società civile. L’unico modo, per alcuni, di frenare l’emorragia di credibilità e consensi che coinvolge tutte i partiti, spiaggiati dalla grande onda dell’anti-politica. «Noi lanciamo una proposta seria e concreta. Tutti coloro che la condividono, siano essi laici o cattolici, sono bene accetti. Ma non guardiamo i nomi e nemmeno le sigle. Si tratta di un progetto di largo respiro che, se accompagnato da un processo di riforme istituzionali, potrà traghettarci nella Terza Repubblica», spiega l’ex sottosegretario Mario Tassone. L’importante è che non sia «un’alchimia politica fatta dalla semplice somma dei soggetti che aderiscono». Et voilà, ecco dunque il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa azzerare in un sol colpo i vertici del partito (cioè lui e Casini), come catarsi per rendere più credibile la ripartenza. Il progetto di Casini è ambizioso: punta al 25 per cento dei consensi. E il leader dell’Udc è pronto a farsi di lato, consapevole che chi verrà non è disposto a prendere ordini, ma a costruire insieme qualcosa di nuovo. Il rischio, però, è che tutto ciò, se non è stato fatto per andare più presto alle elezioni (il mese di ottobre continua a volteggiare nell’aria), ne avvicini comunque la data, indebolendo il governo Monti. «Non vogliamo mettere la data di scadenza al governo, così come Veltroni fece con Prodi. Noi restiamo i più forti sostenitori di questo esecutivo. Quella di oggi (ieri, ndr) è una tappa importante di un percorso che vedrà la luce in autunno per guardare alle elezioni a scadenza naturale», dicono dall’Udc. E anche Casini ribadisce la volontà di «andare al voto nel maggio del prossimo anno». E gli altri del Terzo Polo? Gianfranco Fini concorda su tutta la linea, tranne che sul nome (partito della nazione non gli piace perché la parola partito, visti i tempi, andrebbe evitata). Mentre qualcuno dei suoi scalpita perché non vuole morire democristiano. E qualche perplessità, specialmente sulle aperture agli ex Pdl, arriva invece dall’Api di Francesco Rutelli. Che però condivide quasi tutto del progetto casiniano, convinto di portare via voti al Pd. Resta da vedere, ora, come verrà coniugata nella realtà un’idea che sulla carta potrebbe risultare vincente. E per la quale Alfano e Berlusconi ora saranno costretti a correre ai ripari, con l’annuncio, che ora appare fuori tempo massimo, da parte del segretario di «una novità clamorosa dopo le amministrative». «La verità è che Casini ci ha spiazzato e Alfano ha dimostrato ancora una volta di non avere il guizzo per nuove iniziative politiche. Come amministratore può andare, ma non lo assumerei mai come manager», sussurra un deputato pidiellino. di Gianluca Roselli