Italia nella morsa

C'è l'asse Pechino-Berlinoall'origine dei nostri guai

Nicoletta Orlandi Posti

  di Claudio Antonelli  Si legge Germania ma si dovrebbe pronunciare Cina. Perché la tanto criticata (almeno da chi se ne sente danneggiato) strategia di Berlino  non è tutta farina del sacco di Angela Merkel, ma si basa su un accordo che coinvolge con lo stesso impegno Pechino e l’intellighentia locale: mettere assieme due forze distinte per trarre ancor più vantaggio dalle debolezze delle altre economie europee. Marta Dassù, membro di governo nonché esperta di geopolitica, scriveva lucidamente in tempi non sospetti (già nel 2010) di come Merkel e Cina si stessero muovendo per tenere un certo tipo di euro forte. «In Europa, improvvisamente, ci sono due Germanie: una è la Repubblica federale tedesca, l’altra è la Repubblica popolare cinese», scriveva la Dassù sulla rivista dell’Aspen Institute. «La prima sorveglia da Berlino i conti pubblici del resto d’Europa. La Signora Merkel ha cambiato carattere: non è più materna, non cerca più il consenso, si è trasformata in una Lady di ferro. Che – come ha scritto la Süddeutsche Zeitung – gioca a poker con poste molto alte: la revisione dei Trattati, come modo per garantirsi la futura stabilità dell’euro. È l’Europa tedesca; il punto è che questa Germania ha pochi alleati». Fin qui si tratta della parte più scoperta del gioco. Poi ci sono i retroscena. «Ma c’è anche la Cina tedesca: la più grande economia in espansione, che – esattamente come la Germania – vive di export e ritiene che i problemi dei Paesi in deficit», proseguiva Marta Dassù, «non siano responsabilità dei Paesi in surplus. In Europa, la Cina tedesca gioca però tutt’altra partita: l’acquisto di buoni del Tesoro nei paesi a rischio di default. Prima la Grecia, poi la Spagna e da domani il Portogallo – dove il presidente Hu Jintao svolgerà una nuova visita cinese ad alto livello». Sull’Europa mediterranea, ammonita da Berlino, si è iniziato a stendere il paracadute di Pechino già da oltre due anni. «Strana partita a distanza, il cui risultato sarà comunque un euro (troppo) forte», concludeva il sottosegretario.  L’euro forte - Cosa che va bene a entrambe: alla Germania, che continua a vedere nell’euro il marco europeo. E alla Cina, che può rendere un po’ più flessibile il tasso di cambio della propria moneta verso il dollaro, facendosi scudo con l’euro. Nell’ultimo anno soprattutto per evitare la debolezza della moneta unica i cinesi hanno comprato a man bassa euro e senza poterli mettere nelle materie prime, per ovvi motivi, li hanno sbattuti nei Bund. Qui l’alleanza si è resa ancora più stretta ed è diventata vincente. La Germania ci guadagna incamerando liquidità a costo praticamente zero e tiene la testa bassa ai competitor europei che vivono di export. La Cina evita una crisi che sarebbe indotta da un euro debole... e alla fine si trova a possedere i debiti del Mediterraneo.  Una morsa, quella manovrata da Germania e Cina che non è  certo recente come dimostrano gli accordi industriali e commerciali che da anni, ma dal 2010 con intensità, sono stati firmati. Per la quinta volta in sei anni, la Merkel si è recata a febbraio in visita ufficiale a Pechino. La comunità internazionale all’unisono ha considerato la missione del primo ministro tedesco come un’iniziativa volta a chiedere il supporto cinese rispetto alla crisi in cui versa l’Europa. Cosa ovvia visto le premesse e soprattutto perché i cinesi sanno che il vecchio continente rappresenta il principale mercato di destinazione dei loro prodotti cinesi: un valore di circa 570 miliardi di dollari. Così,  nel 2010 i rappresentati istituzionali dei due Paesi hanno firmato una dichiarazione di partenariato per la tutela ambientale. Il Memorandum prevede anche la cooperazione bilaterale nei settori del risparmio energetico nelle zone di sviluppo nazionale e dell’efficienza energetica, come ha ricordato il ministro degli esteri tedesco.  Miliardi di dollari - Ovviamente, la visita ufficiale è anche stata l’occasione per presentare un nuovo accordo da 3,5 miliardi di dollari  siglato dalla Shanghai Electric Group e dalla Siemens per la ricerca e lo sviluppo di turbine a vapore e gas. Solo nel 2011 c’è ne stata una vera e propria raffica per un valore di 15 miliardi di dollari. Tra i principali, la Airbus ha firmato un accordo da 7,5 miliardi di dollari per la consegna di 88 aerei A320 e il gruppo Volkswagen ha ricevuto il via libera definitivo per la costruzione di due impianti. Da parte sua, la Merkel ha previsto che gli scambi bilaterali raggiungeranno 200 miliardi di euro nei prossimi cinque anni rispetto ai 130 miliardi di due anni fa. Il governo cinese si è impegnato a facilitare l’ingresso delle medie imprese tedesche nel Paese (attualmente 4.500 operano in Cina) e per questo ha annunciato un programma di credito da due miliardi di dollari. Sono solo alcuni esempi di quanto si importante il patto siglato tra i due Paesi. Una morsa che, visti gli obiettivi e i miliardi in ballo,  difficilmente smetterà di esercitare pressione sulle debolezze del sud Europa. C’è da aver paura.