La prima condanna: solo 9 anni
Per alzare l'audience di papàha ammazzato 15 persone
Si fa di tutto per fare audience, dicono negli ambienti televisivi. Ma quello che è accaduto in Brasile va ben oltre. Per la popolarità si è arrivato perfino ad ammazzare. Finalmente giustizia è stata fatta anche se con una pena alquanto mite, per la mancanza di prove certe. Il tribunale di Manaus (Stato dell’Amazzonia) ha condannato a nove anni di carcere Raphael Souza, accusato di aver ucciso oltre 15 persone, per aumentare l’ascolto di un programma tv su casi polizieschi condotto da suo padre, l’ex deputato locale e giornalista Wallace Souza, deceduto nel 2010 per un infarto. Si tratta di una vicenda a dir poco torbida che ha tenuto per anni col fiato sospeso un intero Paese, purtroppo abituato a vedere omicidi e sparatorie nelle sue strade. Ma il loro utilizzo a fini televisivi (e politici) ha rappresentato una triste novità. La macabra iniziativa venne alla luce nel 2009, quando venne provato che venivano mandate in onda le immagini di vittime di sparatorie per far accrescere la notorietà di Wallace e farsi così rieleggere fra le file del Partito progressista, considerato il secondo maggior partito del Paese. I particolari della storia sono macabri. Nel suo piano criminale, Wallace ha sempre agito con l’appoggio e l’aiuto del figlio Raphael, che ha una fedina penale lunga un chilometro, dagli omicidi al narcotraffico. Tutto questo per quella trasmissione di cronaca nera, «Canal Livre», che veniva seguita da sempre più brasiliani. Le immagini Tanti si chiedevano come potessero ottenere quelle straordinarie immagini. Gli operatori del clan Souza erano addirittura in grado di riprendere esecuzioni e assassinii in diretta o la scena del delitto immediatamente dopo le uccisioni. Arrivavano sempre prima di tutti, perfino prima della polizia brasiliana. Grazie all’immensa popolarità del suo programma, Souza era poi stato eletto deputato per lo Stato di Amazonas. Ma a poco a poco con la notorietà sono sorti anche i sospetti, sempre più fondati. La polizia si iniziò a chiedere come fossero possibili tutti quegli scoop sulle sparatorie a sangue freddo della città. Non c’è voluto molto a scoprire che Wallace e Raphael erano a capo di una rete di narcotraffico e di uno squadrone della morte che eseguiva a pagamento esecuzioni sommarie di malviventi. Dopo l’arresto, Wallace avrebbe anche cercato di far uccidere il magistrato inquirente, la giudice Jaiza Fraxe. È morto a 51 anni mentre scontava una condanna a 15 anni e ora è rimasto il figlio a pagare per le malefatte di famiglia. Il processo di Raphael andrà ancora avanti dopo il primo grado di giudizio. Ma sarà difficile per lui provare la sua innocenza. L’omicidio che lo inchioda è quello di un narcotrafficante, uno dei tanti usati per fare audience. Fra le vittime preferite dei Souza c’erano spacciatori e ladri di auto, piccoli furfanti, che cadevano sotto i colpi dei loro sicari. E a Manaus, città da quasi due milioni di abitanti, il «materiale» di certo non manca. Coinvolti nella vicenda ci sono anche alti ufficiali della polizia locale, che avrebbero collaborato agli omicidi. Successo Questo fitto intreccio è emerso anche durante il processo di Raphael, che ha parlato di complotto ordito contro di lui, a cui avrebbero partecipato gli inquirenti e un capo della polizia locale, Thomaz Vasconcelos. La funzione di «Canal Livre» era duplice: si dava l’idea che alcuni criminali venissero eliminati e allo stesso tempo Wallace poteva vantare di essere uno degli uomini più in vista di Manaus. Il programma è andato in onda dal 1989 al 2008. Quei venti anni, e la successiva condanna di padre e figlio, lo hanno reso una sorta di «cult» su internet. Ma il successo è costato caro: anche la produttrice del programma televisivo, Vanessa Lima, ha avuto problemi con la giustizia. di Alessandro Carlini