L'editoriale
Anche la Polverini ha diritto al metodo Vendola
di Maurizio Belpietro Renata Polverini non mi suscita particolare simpatia. Per certi atteggiamenti più che una governante mi sembra una cameriera e fosse toccato a me scegliere l’avrei lasciata dove stava, ovvero al sindacato. Ciò detto, la richiesta di dimissioni per la storiaccia dei fondi pubblici sottratti dal capogruppo Pdl del Lazio mi sembra bizzarra. Da quel che è emerso fino ad oggi, l’ex segretaria dell’Ugl non ha avuto alcun ruolo nella sparizione di milioni di euro dalle casse del Popolo della libertà e per quanto «Francone» Fiorito, il principale accusato, cerchi di coinvolgere tutti per annacquare le proprie responsabilità, alla fine non è riuscito a lanciare altro che una generica accusa: la governatrice non poteva non sapere come venivano assegnati i soldi ai partiti. Può darsi che la presidentessa fosse a conoscenza del fiume di denaro che la Regione erogava a ogni singolo gruppo, ma allo stato attuale non mi pare che nessuno abbia dimostrato che si sia presa un solo euro. A parte la sua presenza a una cafonissima festa in costume (che non risulta pagata con i fondi regionali), a lei non si può imputare nessuna cena a base di ostriche e champagne a spese pubbliche. Dunque, perché dovrebbe fare le valigie? La sua colpa qual è? Di non aver vigilato a sufficienza su quel che combinavano gli esponenti della sua maggioranza? La responsabilità penale non è più personale ma collettiva, anzi politica? Se così fosse c’è da domandarsi perché nel passato gli editorialisti che oggi reclamano a gran voce l’addio della governatora siano stati zitti. Non mi risulta infatti che nessuno di loro abbia scritto una riga per chiedere a Nichi Vendola di farsi più in là. Eppure lo scandalo scoppiato due anni fa in Puglia non era meno grave. Anche allora si trattava di soldi pubblici e cene, con l’aggravante che ad andarci di mezzo erano i malati, i quali si videro rifilate delle protesi comprate dopo che erano state unte parecchie ruote della macchina sanitaria regionale. Forse non c’erano le feste in maschera e il Suv, ma in compenso c’erano le donne portate in dono all’assessore, il quale consumava la prestazione in alberghi o uffici. Certo, Nichi non ha avuto niente a che fare con le donnine, ma del sistema marcio della sanità pugliese avrebbe dovuto portare pur sempre la responsabilità politica, anche perché il magistrato segnalò che «Vendola lottizzava insieme agli altri». Invece, in quel caso né Repubblica né i giornali che ora reclamano le dimissioni aprirono bocca. Stesso trattamento per il sindaco di Bari Michele Emiliano, un ex magistrato traslocato in comune alla guida di una giunta di sinistra. Mesi fa il suo nome fu sfiorato da una faccenda di ostriche, assunzioni e appalti. Il consigliere regionale del Pd Gerardo Degennaro, esponente di una famiglia di costruttori baresi, fu arrestato con l’accusa di aver condizionato la politica ottenendone in cambio lavori pubblici. A Emiliano non venne contestato di aver ricevuto vantaggi dal rapporto con Degennaro e la sua impresa, ma agli atti finì la lista dei regali di Natale di cui aveva goduto: champagne, vino e formaggi, quattro spigoloni, venti scampi, ostriche imperiali, cinquanta noci bianche, cinquanta cozze pelose, due chili di allievi locali di Molfetta e otto astici. Una lista da far invidia a un uomo de panza come «Francone» Fiorito, il quale a quanto pare si è accontentato dei soli molluschi e delle bollicine francesi. Naturalmente il sindaco non aveva alcuna responsabilità per le malefatte dell’imprenditore arrestato, anche se la nomina del capoufficio tecnico voluta da Degennaro fu fatta, come scrivono i pm, «non per ragioni di valorizzazione delle professionalità, ma, al contrario, dalla piena capacità» del nuovo capo ufficio «di soddisfare le esigenze della politica e le specifiche pressioni di Degennaro». Tuttavia, gli indignati speciali che oggi si scagliano contro la Polverini ignorarono il caso e non sollecitarono le dimissioni di Emiliano per non aver vigilato e non essersi accorto che il regalo di Natale inviatogli dall’imprenditore non era proprio disinteressato. Perché dunque tutta questa fretta di chiedere alla governatora del Lazio di farsi da parte? La responsabilità politica, l’aver chiuso gli occhi o non averli aperti in tempo per scoprire le malefatte dei compagni di merende, vale solo per lei? Mi interrogo su questo punto perché non vorrei che dietro alla sacrosanta campagna moralizzatrice non ci fosse altro e cioè la voglia di liquidare, dopo il governo di centrodestra, anche quei pochi governi regionali a guida moderata che ancora resistono. In Lombardia Formigoni è sotto assedio da mesi nonostante la Lombardia sia la regione meglio amministrata d’Italia. Nel Lazio la Polverini lo è da pochi giorni per una faccenda che non riguarda direttamente la giunta. Nel frattempo i Vendola emergono come angeli moralizzatori e addirittura si candidano a guidare il Paese. Speriamo almeno che non festeggino a base di ostriche e champagne.