L'editoriale
Renzi tiri fuori il programma. Adesso
di Maurizio Belpietro Qualche giorno fa, sulle pagine di Libero, Marco Gorra si chiedeva scherzando se non fosse il caso di offrire a Matteo Renzi il posto di leader del centrodestra. Dato che a sinistra non lo vogliono e il Pdl non sa cosa vuole, il sindaco di Firenze potrebbe essere una buona soluzione per il fronte moderato. In fondo, Renzi è un piddino tiepido, cresciuto nella casa di Dio più che in quella del popolo, dunque potrebbe anche non sfigurare sul fronte opposto a quello per cui corre. Che sia poco organico alla nomenclatura degli eredi del partitone rosso lo testimonia poi il fuoco di sbarramento che i compagni hanno aperto contro di lui. Fin dai tempi della sua candidatura alla guida del capoluogo toscano, Renzi li ha avuti contro, tant’è che se non fosse stata troppo per gente cresciuta nel mito delle decisioni dal basso avrebbero fatto ciò che fecero a Napoli, azzerare le primarie e il vincitore, regalando poi l’amministrazione comunale a qualcun altro di loro gradimento. Per l’apparato post-comunista il sindaco di Firenze è infatti il male assoluto, peggio di lui c’è solo Berlusconi. Soprattutto perché, pur di farsi largo, il giovanotto non si è fatto scrupolo di descrivere i maggiorenti del centrosinistra come una banda di vecchi arnesi, che stanno sulla piazza, anzi in Parlamento, da almeno trent’anni. Il pericolo di finire in pensione, privi di strapuntino, ha spinto nemici storici ad allearsi contro il rottamatore. Con lui alla guida del partito o del governo tante carriere sarebbero spezzate e questo, per gente che in vista delle prossime elezioni assapora già la vittoria preparandosi a spartirsi i posti, è veramente insopportabile. Intendiamoci: Renzi fa di tutto per rendersi indigeribile ai compagni. In particolare, scala i gradini del potere con eccessiva fretta, mostrando, senza vergognarsene, di aspirare a una carriera ai piani alti. Arrivato a 21 anni senza tessere in tasca, è entrato nel Partito popolare per divenirne in tre anni il segretario provinciale. Tempo altri due anni ed era già coordinatore della Margherita fiorentina, cioè del partito nato dalla fusione tra le vecchie lenze democristiane e un radicale pentito come Francesco Rutelli. Tre anni ancora e l’ex concorrente della «Ruota della fortuna» veniva eletto presidente della Provincia, con un incarico istituzionale a meno di trent’anni. Fin dall’inizio, dunque, il giovanotto deve aver pestato un certo numero di calli, ma lo sgambetto che fece capire che il ragazzo cresciuto a pane e Dc non si sarebbe accontentato fu quando si candidò alla guida della città rossa per definizione. Contro il volere del partito e dei suoi colonnelli toscani, Renzi puntò dritto a Palazzo Vecchio e in pochi mesi sbaragliò gli avversari, ovvero i burocrati del Pd. Uno normale a questo punto si sarebbe fermato, godendosi il risultato e amministrando a 34 anni uno dei Comuni più importanti d’Italia. Invece, da provetto arrampicatore, Renzi un secondo dopo essersi seduto sulla poltrona di sindaco ha iniziato a pensare al prossimo gradino da scalare. Che per lui non è la segreteria del Partito democratico - che lascerebbe volentieri a Pier Luigi Bersani - e nemmeno un qualche altro incarico di prestigio nel governo o altrove. Il giovane vuole Palazzo Chigi e si ritiene pronto per guidare l’Italia. Ciò dimostra quanto sia ambizioso, ma anche quanto faccia sul serio. Renzi in questa partita si gioca tutto e per vincere è pronto ad allearsi con il diavolo. Non a caso ha incontrato Belzebù Berlusconi, un appuntamento che ha fatto storcere il naso ai suoi compagni. Non fosse stato per i suoi spin doctor che glielo hanno vietato, ieri avrebbe incontrato pure Flavio Tosi, il leghista più amato del Veneto, e magari Roberto Maroni. Perché il sindaco che vuol essere premier è un furbo di tre cotte e non si fa problema di giocare su tutti i tavoli. Perciò ieri, a Verona, presentando la sua discesa in campo per le primarie (ma si faranno mai? Oppure servono a Renzi solo per candidarsi?), si è rivolto più agli elettori del centrodestra che a quelli di centrosinistra, invitandoli alla diserzione. Renzi chiede i voti dei moderati, ossia degli unici che potrebbero farlo vincere dato che gran parte dei fan progressisti a lui preferiscono Bersani o Vendola, ma per ora non spiega per fare cosa. Quale sia il suo programma per ora è un segreto meglio custodito di quello di Fatima, perché, a parte parlare bene e lanciare qualche slogan (ad esempio quelli sul futuro, la speranza e l’emozione), il sindaco non si sbottona. Ciò che pensa sulle tasse, sullo statuto dei lavoratori, sulla burocrazia, la crescita o il debito pubblico - cioè ciò che pensa dei problemi del Paese - non è noto. Speriamo però che il giovane in carriera sciolga il mistero prima di dedicarsi a scalare il prossimo gradino. Così, finalmente, capiremo se è di destra, di sinistra o solo un furbo.