L'editoriale
Tanto Monti per nulla
Dopo mesi passati a studiarlo, di Mario Monti credo di aver capito una cosa e cioè che l’unica manovra che gli riesce alla perfezione è la retromarcia. Basta vedere cosa è successo in Consiglio dei ministri. Settimane di annunci e bellicose intenzioni e poi i tagli alla spesa pubblica sono stati cancellati in poche ore. Mentre i giornali titolavano sulla chiusura di decine di ospedali in tutta Italia, mentre la gran parte dei quotidiani apriva la prima pagina con la soppressione delle Province e dei tribunali di periferia, mentre La Stampa metteva in bocca al premier dichiarazioni marziali come «Non c’è alternativa ai tagli, risparmi di 5 miliardi sulla sanità», il presidente del Consiglio si preparava al dietrofront di fronte alle lamentele di sindacati e partiti. Una ritirata con la coda fra le gambe, che i principali siti internet ieri pomeriggio sintetizzavano in maniera implacabile: «Saltano il taglio delle Province e il blocco delle tariffe, nessuna riduzione sul fronte degli armamenti, demandata alle Regioni la questione degli ospedali». In una parola, una disfatta. Nessuna delle misure che il governo aveva fatto circolare per dar corpo a una manovra di tagli della spesa pubblica di cui si parla da mesi è rimasta in piedi, neanche quella che riguardava i sindacati e i generosi fondi che ogni anno lo Stato regala a Cgil, Cisl e Uil. La spending review è diventata una spending continues e il lavoro preparato da Enrico Bondi è stato buttato nel cestino, come già prima era accaduto al documento di revisione degli incentivi alle imprese elaborato da Francesco Giavazzi. Che sarebbe andata a finire così purtroppo lo immaginavamo e, commentando le notizie riguardanti i provvedimenti in procinto di essere varati, avevamo messo le mani avanti. Temevamo infatti che alla lunga, pressato dalle contestazioni, il capo del governo si rimangiasse ogni cosa, come già era accaduto con la riforma del mercato del lavoro, nata sana e storpiata trattativa dopo trattativa. La delusione più grande naturalmente riguarda gli ospedali, molti dei quali non hanno le dimensioni e le risorse per garantire ai pazienti adeguate cure, ma in molte regioni ne hanno a sufficienza per assicurare clientele e ruberie. Ne abbiamo parlato spesso su queste pagine e anche oggi, nelle pagine interne, il nostro Tommaso Montesano se ne occupa, raccontando alcuni dei casi più clamorosi. Come quello di Oppido Mamertina, comune alle falde dell’Aspromonte che ospita uno dei 18 centri di cura calabresi con meno di 120 posti letto: a Oppido di brande per accogliere gli ammalati ce ne sono appena venti, ma in compenso i dipendenti sono cinque volte tanto. A Taurianova la situazione non è molto diversa: tra medici e infermieri sono in 149 e i degenti appena 29. Ospedali dove più che essere curati, si rischia di venire abbandonati come capita ad esempio in quello di Corigliano, dove, secondo una recente indagine, solo l’1,2 per cento dei pazienti che si sono rotti un femore riesce ad essere ingessato nelle 48 ore. Nonostante ieri i lanci della principale agenzia di stampa del Paese, l’Ansa, dessero la notizia che i piccoli ospedali erano stati graziati da Palazzo Chigi, immagino però che oggi il presidente del Consiglio negherà la retromarcia, specificando che più semplicemente il governo ha delegato alle Regioni la decisione, essendo la materia dei nosocomi di competenza dei governatori e degli assessorati alla sanità. Ma è proprio questo il punto. Che i centri di cura fossero di competenza regionale, a parte Monti lo sapevano tutti e tutti si attendevano un espediente che aggirasse le disposizioni volute dal centrosinistra nel 2001. In realtà il premier non ha trovato alcuna soluzione e dunque l’annunciato piano di risparmi rischia di afflosciarsi appena sarà nelle mani dei governatori. La maggior parte dei quali non ha intenzione di chiudere i pronto soccorso perché perderebbe voti. Anzi, qualcuno ha perfino costruito il proprio successo difendendo gli ospedali destinati ad essere liquidati. Basti ricordare che nel 2005 l’attuale leader di Sel Nichi Vendola era in prima fila a contestare l’allora governatore della Puglia Raffaele Fitto, colpevole di aver disposto la chiusura del reparto di ginecologia di Terlizzi. Finì con l’auto dell’esponente di Forza Italia assediata e presa a pugni, una protesta che aprì la strada al governatore in rosso, nel senso ovviamente di uno che regna sui bilanci pubblici in deficit. Dunque, non ci sarà nessuna chiusura, ma solo la solita ammuina. Qualche ospedale cambierà nome, riconvertendosi in centro di assistenza oppure in qualche altro camuffamento. Ma nessuno verrà licenziato e i risparmi ce li scorderemo. Sarà, come sempre, una presa in giro. Tanto Monti per nulla. In compenso il governo ha annunciato che l’aumento dell’Iva ci sarà e forse questa è l’unica decisione su cui il capo del governo non ingranerà la retromarcia. L’unica, ovviamente, che va nella direzione sbagliata. di Maurizio Belpietro maurizio.belpietro@liberoquotidiano.it