L'editoriale

I partiti della spesa non conoscono crisi

Lucia Esposito

  Può succedere di tutto, perfino che l’euro faccia crac e torni la nostra cara vecchia liretta, ma qualsiasi cosa accada, di un fatto potete essere certi e cioè che per la Casta nulla cambierà e tutto continuerà come prima, con i soliti privilegi e le inevitabili clientele. Lo dimostra ciò di cui si è avuto notizia ieri, in pieno regime di sobrietà voluto da Mario Monti, l’uomo che ha imposto il rigor mortis anche all’economia italiana. Mentre il Paese va a pezzi e gli ordinativi dell’industria sono ridotti al lumicino (meno 1,9 per cento rispetto allo scorso anno; meno 4,7 in tre mesi; meno 12,3 se lo si calcola al grezzo: dati diffusi dall’Istat), ieri al Senato è stato fatto saltare il voto che doveva riguardare la riduzione del numero di senatori. Colpa di ciò che resta del centrodestra, accusa il Pd; colpa dei post comunisti che non vogliono la riforma presidenziale, replicano dal Pdl e dalla Lega: una manfrina che serve solo a far proseguire tutto come prima, perché non tagliare gli organici degli onorevoli sta bene a tutti, a destra e a sinistra. Dunque, neanche la piccola, simbolica, riduzione dei senatori e, di conseguenza, dei deputati ci sarà. Maggioranza e opposizione (ma ormai sono tutti in maggioranza) passeranno il loro tempo a litigare sulla riforma costituzionale e su quella elettorale e in tal modo si giungerà alla conclusione della legislatura, con una situazione sempre più gravida di funesti presagi per la nostra economia. Ma se la notizia stesse tutta qui, cioè nel rinvio del provvedimento di decurtazione del numero di  appartenenti alla Casta, saremmo paradossalmente nella norma. Parleremmo di un provvedimento quasi scontato, che non deve generare più di tanto stupore. Tuttavia, alla conferma delle furbizie parlamentari, si aggiunge un’altra notizia, non meno grave della precedente. A rivelarla  è una video inchiesta del Corriere della Sera on line, secondo la quale, mentre per i terremotati  dell’Emilia non sono ancora stati trovati i fondi necessari alla ricostruzione, lo Stato stanzia 51 milioni di euro per i danni del sisma registrato in Irpinia nel 1980. Sì, cari lettori, non siete vittime di un refuso o di un’allucinazione: avete letto bene. A distanza di 32 anni, il ministero sta ancora finanziando la ricostruzione in Campania, uno dei più grandi sprechi che si siano mai visti in questo Paese. Ma l’aspetto più incredibile della vicenda è dato dal fatto che i Comuni destinatari dei soldi ammettono di non averne bisogno. A Scisciano, centro con poco più di 5 mila abitanti, si sono visti destinare  una prima tranche di 200 mila euro pur non avendo praticamente subìto crolli. Del resto, che ci sia chi sta ancora incassando per un evento di un terzo di secolo fa, è notizia che rientra nella norma, in quanto i governi del passato hanno consentito la presentazione delle domande di risarcimento anche a distanza di otto anni, allargando via via l’area dei paesi colpiti dal terremoto. Al punto che perfino la costiera amalfitana è rientrata nelle zone bisognose di aiuti. Ma non è solo l’Irpinia a beneficiare della munificenza di uno Stato che predica il rigore e continua la politica delle maniche larghe. Il nostro Andrea Scaglia ha scoperto che ai 51 milioni dell’area campana si devono aggiungere i 22  erogati per i paesi della Lucania: in tutto 73 milioni di euro per un sisma lontano nel tempo, che secondo le stime del centro di documentazione e ricerche della stessa Camera, tra danni reali e sprechi, è costato 67 miliardi di euro, solo 9,3 dei quali davvero impiegati per ricostruire le case di chi le aveva perse. Insomma, mentre per i terremotati dell’Emilia nessuno si muove, non il governo ma nemmeno i talk show del servizio pubblico (ricordate le denunce di Santoro ad appena un mese dal sisma, per dimostrare che il governo Berlusconi non stava facendo niente?), in Irpinia e Lucania tutto prosegue come sempre, alla faccia della sobrietà e, soprattutto, della spending review più volte annunciata da Mario Monti. Perché i partiti possono crollare nei sondaggi, magari anche rischiare di estinguersi per eccesso di indignazione o perché un movimento come quello di Grillo ruba loro la maggioranza dei consensi, ma il partito della spesa non conosce mai crisi: un partito che, indipendentemente dal colore di governo,  riesce sempre a prosperare. È quello che bisognerebbe battere nelle urne: il solo che dovremmo davvero mandare a casa. PS. Mentre scrivevamo questo articolo, è giunta notizia del via libera del Senato all’arresto di Luigi Lusi, un campione in fatto di ruberie. L’ex tesoriere della Margherita e senatore del Partito democratico avrebbe sottratto alle casse del partito 25 milioni. Il processo chiarirà le sue responsabilità. Intanto, tocca a lui pagare per tutti. La Casta lo molla per rifarsi, se non il bottino, almeno la verginità.  di Maurizio Belpietro