L'editoriale
Esodiamo Monti
Il bollettino di guerra diffuso ieri dall’Istat in accordo con il ministero dell’Economia non lascia spazio a dubbi: la cura Monti non sta funzionando, anzi, invece di guarirlo forse aggrava le condizioni del paziente Italia, peggiorando il quadro complessivo. Come in una radiografia o un’analisi del sangue, i dati sono implacabili: nel primo trimestre il Prodotto interno lordo è calato dello 0,8 per cento ed entro l’anno potrebbe arrivare a meno 1,4 per cento, non lasciando intravedere nemmeno l’ombra della crescita di cui spesso parla il presidente del Consiglio. A questa poco confortante diagnosi si è aggiunto il censimento effettuato dai tecnici del ministero sul numero delle partite Iva nate nell’ultimo periodo. Risultato: un calo che sfiora il 26 per cento e riguarda tutti i settori. Gli unici che non chiudono l’attività, ma anzi spesso l’inaugurano, sono i giovani, ma solo perché beneficiano degli incentivi decisi dal governo Berlusconi lo scorso anno prima di essere costretto a gettare la spugna. Non è finita: la statistica ci spiega che è calata pure la spesa delle famiglie (meno 2,4 per cento), ma in compenso è aumentata quella dello Stato, (...) (...) che crisi o non crisi continua a divorare la ricchezza degli italiani esattamente come prima, a dimostrazione che i propositi del nuovo governo finora non hanno portato a un euro di risparmio, ma anzi hanno fatto spendere di più. Ultima sconfortante notizia: gli esodati sono molti di più di quelli annunciati dal ministro Fornero e addirittura superano le allarmate stime dell’ufficio studi della Cgil. Altro che 65 mila persone, come aveva detto la responsabile del Welfare; macché 130 mila come aveva in un primo tempo ipotizzato l’Inps: i lavoratori che rischiano di rimanere senza impiego e senza pensione, in un limbo fatto di povertà dovuto alla mancanza di stipendio, sono quasi 400 mila. Poco meno di mezzo milione di persone la cui situazione rischia di coinvolgere, lasciando privo di un reddito chi sostiene le famiglie, oltre un milione di italiani. C’è bisogno d’altro per certificare un fallimento in piena regola? Servono altre sconfitte oltre a quelle elencate? A noi pare di no. Ci fosse stato Silvio Berlusconi al governo - ma immaginiamo anche Prodi o chiunque altro - l’esecutivo sarebbe già stato subissato di fischi e invitato a fare le valigie il più in fretta possibile. Collezionare una serie di segnali negativi di tal fatta in soli sette mesi come ha fatto Monti avrebbe indotto la maggior parte delle forze politiche a richiedere le dimissioni. Difficile sopportare il peso di una manovra che avrebbe dovuto rilanciare la crescita e invece la deprime. Ancor più arduo reggere i numeri pesantissimi sulla diminuzione di quel popolo delle partite Iva che da sempre sostiene l’ossatura della nostra economia. Ma ciò che davvero non sarebbe stato sopportato è il disastro delle pensioni. L’unica riforma che ha visto la luce da quando ci sono i tecnici è affondata in un errore previsionale di dimensioni enormi, con gli effetti negativi di una mezza manovra. Spostando più in là l’età del ritiro dal lavoro, la ministra Fornero, superesperta di sistemi previdenziali, non si è semplicemente accorta che 400 mila persone sarebbero rimaste in mezzo al guado, private del posto da cui traevano lo stipendio e impedite ad accedere al vitalizio dell’Inps. Eppure, nonostante la collezione di brutte figure, Mario Monti non accenna a dimettersi, ma anzi si dice convinto di restare o, se sfiduciato, di ricevere l’incarico per la formazione di un nuovo governo. La verità è che il presidente del Consiglio è debole, ma più di lui lo è la situazione economica e questo, paradossalmente, lo rafforza. Più le cose vanno male e più per lui si mette meglio. Nessuno davvero osa immaginare che cosa potrebbe succedere se il premier fosse indotto a rassegnare le dimissioni e anche chi vorrebbe prenderne il posto a ottobre, come Bersani - il quale in questo modo eviterebbe le primarie e vincerebbe a mani basse contro un Pdl al lumicino - non ha il coraggio di intestarsi la caduta del governo e le inevitabili conseguenze. Risultato: se il Pil peggiora e lo spread sale (ieri i Btp erano al sei per cento), se l’emergenza del terremoto non si placa, il presidente del Consiglio rischia di diventare inamovibile e di rimanere in sella fino alla scadenza della legislatura. Pronto a fare altri danni. Come una patata bollente, che nessuno sa o si vuole prendere. Forse nel caso del premier ci vorrebbe un incentivo all’esodo. di Maurizio Belpietro