L'editoriale

I politici piangono i morti ma si svegliano tardi

Lucia Esposito

E adesso che cosa facciamo? Indaghiamo un’altra volta tutti i componenti della commissione grandi rischi, così come è accaduto dopo il terremoto dell’Aquila? Se, come sembra, lo sciame sismico continua, evacuiamo mezza Emilia, sistemando gli abitanti di Modena, Reggio Emilia, Ferrara e Mantova lungo la costa, in Romagna, oppure li trasferiamo in Trentino? Immaginiamo già le polemiche che scaturiranno dopo la strage provocata dai crolli: chi doveva vigilare non ha vigilato, venendo meno al rispetto dei “doveri di previsione e prevenzione”, come si disse dopo le scosse in Abruzzo, quando gli esperti di geofisica e vulcanologia furono accusati di omicidio colposo. All’epoca la colpa fu di non aver chiuso l’Aquila e i paesi limitrofi, deportando in strada gli abitanti, ma soprattutto di non aver  saputo prevedere il terremoto in cui morirono 308 persone, nonostante la scienza abbia assodato che un sisma non può essere annunciato in anticipo. Questa volta si dirà la stessa cosa per quei quindici che erano ritornati al lavoro e sono rimasti vittime dei crolli delle loro aziende? Nel 2010, quando fu messa sotto processo la commissione grandi rischi, tutti si misero il cuore in pace. Una volta accusati i geologi, gli altri si sentirono tutti assolti, in particolare la classe politica, che da quel giorno ha potuto pensare ad altro, cioè a litigare, non certo ai pericoli sismici. Eppure, in un paese che è ad alto rischio, non sarebbe ora di decidere di fare un censimento degli edifici, verificandone la qualità e la tenuta in caso di forti scosse?  In una nazione che periodicamente spende decine di miliardi nella ricostruzione, regalandole alla camorra, alla mafia e ai profittatori, non sarebbe bene stabilire regole precise non solo per le nuove costruzioni, ma anche per quelle vecchie? Tutti parlano di previsione e da quel che abbiamo capito vorrebbero che i terremoti venissero previsti come si fa con il tempo, la pioggia o la neve. In realtà l’unica misura possibile non è annunciare in tv che domani la terra tremerà né stipulare una polizza, ma stabilire una volta per tutte se gli edifici sono in grado di reggere le forti scosse oppure no. All’epoca del crollo dell’Aquila si tornò a parlare di palazzi costruiti male e senza qualità. Lo stesso si fece quando un’intera scuola si accartocciò, uccidendo tutti i bambini che vi seguivano le lezioni. Argomenti che si ripetono ad ogni sisma, come nelle Marche e in Umbria, per restare ai più recenti. Ma oltre a parlarne, nessuno ha mosso un dito. Niente è cambiato in fatto di leggi, che pure prevedono costruzioni antisismiche. Nulla è accaduto per quanto riguarda i controlli. I provini sul calcestruzzo che si fanno in laboratorio sono stati eseguiti con maggior serietà? Sono state introdotte misure affinché i comuni verifichino con attenzione i cementi armati o i collaudi statici di case e palazzi? No, nulla di tutto ciò. Anzi, di fronte al crollo di centinaia di capannoni industriali si scopre che in Emilia, non essendo considerata zona ad alto rischio, nelle fabbriche i tetti non sono imbullonati alle pareti, ma soltanto appoggiati. E chi lo ha stabilito? Chi continua a consentire l’uso di tecniche abitative che non sono antisismiche? Non si sa. Così tra Ferrara e Modena sono venute giù non solo le costruzioni vecchie di centinaia di anni, ma anche quelle più recenti, di solo sette o otto anni fa, prova evidente che si continua ad edificare facendosene un baffo dell’incolumità delle persone e della sicurezza di uffici e abitazioni. Dopo la morte di centinaia di persone lo Stato pianse lacrime di coccodrillo, promettendo l’obbligo di un’anagrafe degli edifici in cui annotare tutti i dati relativi alle costruzioni. Invece della misura annunciata è arrivato l’onere di ingaggiare un tecnico per la sicurezza in cantiere e un esperto per la certificazione energetica: carte e costi in più per i cittadini, ma niente che possa servire a salvare le persone se la terra trema. Eppure ci vorrebbe poco. Al posto di spendere miliardi   nella ricostruzione, terremoto dopo terremoto, sarebbe meglio investire un po’ di soldi per mappare non soltanto il rischio sismico, ma anche la staticità degli edifici. Da anni esistono società specializzate nei collaudi, in grado di fare prove di carico e di sforzo delle strutture verticali di un palazzo o di una fabbrica. Eppure nessuno le interpella per mettere al sicuro le case degli italiani. I governanti evidentemente preferiscono piangere dopo, quando si contano i morti.   di Maurizio Belpietro