L'editoriale

Un vaffa a partiti, governo e Europa

Lucia Esposito

Abbiamo risparmiato ai lettori le solite banalità che sui quotidiani si leggono il giorno prima del voto, ignorando volutamente l’appuntamento con i seggi che coinvolgeva 27 Comuni capoluogo. Ad urne aperte e a risultati noti, intendiamo allo stesso modo evitare di pubblicare le riflessioni di circostanza, che in genere si limitano a stabilire quanto abbia perso il tal partito e quale zero virgola abbia guadagnato il concorrente.  La verità è che a questa tornata elettorale hanno perso tutti e in particolar modo i partiti tradizionali i quali, nessuno escluso, sono stati bastonati. Sì, c’è il Pdl che è andato  peggio di tutti quanti, anche perché in diverse città ha rinunciato a candidarsi sostenendo delle mezze figure e in altre si è diviso riuscendo a farsi del male da solo.  Ma la Lega non è che sia andata meglio: se si eccettua Verona, dove più che il Carroccio si è presentato Flavio Tosi, è arretrata un po’ ovunque e in un luogo simbolo come Legnano si è fatta addirittura scavalcare dal candidato di Grillo. Non parliamo poi del Terzo polo, che in gran parte delle sfide è risultato inesistente e là dove si è alleato col centrodestra, come a Palermo, non è arrivato neppure al ballottaggio. Per quanto riguarda la sinistra, nonostante l’esultanza manifestata in tv da Massimo D’Alema, il Pd è uscito dalle elezioni senza uno straccio di successo: a Verona è rimasto fermo al palo; a Parma, nonostante il naufragio della giunta di centrodestra, è costretto al ballottaggio con un grillino; a Genova, città storicamente di sinistra, per la prima volta si deve sottoporre al secondo turno; a Palermo, altro capoluogo in cui avrebbe dovuto essere super favorito, insieme a tutta i progressisti è finito in coda a Orlando. Vista con freddezza e senza passioni, si capisce perciò che i soli veri vincitori sono i seguaci di un comico e dunque non resta che mettersi a ridere. Il Movimento Cinquestelle fondato da Beppe Grillo, infatti, si afferma ovunque e in città come Parma e Genova arriva perfino al venti per cento, diventando di fatto il secondo partito. È vero che con quei voti non avrà la possibilità di governare e dunque è destinato a rimanere fuori dalla stanza dei bottoni, come osserva Giuliano Ferrara. Ciò nonostante la massa di consensi raccolta a noi ricorda il voto che nel 1992 e nelle successive tornate prese la Lega, la quale, seppur demonizzata, divenne uno dei partiti con cui fare i conti in un momento di massima crisi della partitocrazia. Può darsi che alla base di questo successo ci siano faccende locali, come in televisione alcuni colleghi si sono affrettati a sostenere nel tentativo di ridimensionare la portata del risultato. E può essere che a Parma gli elettori abbiano votato Federico Pizzarotti perché non vogliono l’inceneritore e a Genova Paolo Putti in quanto sono contrari alla Gronda autostradale: tuttavia ricondurre a ciò l’esito elettorale a noi pare un modo per mettere la testa sotto la sabbia e non guardare in faccia il ciclone che si sta abbattendo sul Palazzo.  Le vicende cittadine avranno la loro portata come dicono i giornalisti, ma è fuor di dubbio che alla base del successo della lista di Beppe  Grillo c’è qualcosa di più. Non si tratta della irresistibilità delle proposte dei candidati Cinquestelle, le quali da quanto ci risulta o non sono note o sono inconsistenti. Ciò che fa crescere il movimento è la rabbia e l’avversione nei confronti della politica e di tutto ciò che la rappresenta. Chi ha messo la croce sul simbolo del comico non voleva solo punire il Pdl, la Lega, il Terzo polo e il Pd, ma voleva in qualche modo ribellarsi alle scelte politiche e di indirizzo economico. Tra i perdenti di questa tornata vanno dunque inseriti a pieno titolo anche Mario Monti, i ministri e le loro misure recessive. Nei suoi comizi Grillo se la prende con i partiti e il finanziamento pubblico, del quale giustamente chiede l’abolizione. Ma l’invettiva colpisce sempre più spesso anche il governo dei banchieri e l’Agenzia delle entrate che dell’esecutivo è ritenuto il braccio esecutivo. Chi ha votato Cinquestelle è come se avesse urlato un vaffa... a Parlamento, governo, Quirinale e istituzioni. Liquidare il fenomeno come se fosse rivolto solo nei confronti di questo o quel partito sarebbe dunque sbagliato, perché siamo di fronte a qualcosa di più complesso, che riguarda l’Italia, ma non solo. Sono l’Europa e le sue politiche crucche ad essere nel mirino. A Parigi per manifestare la propria contrarietà la gente vota Marine Le Pen, in Grecia sceglie la sinistra estrema e o i filonazisti, da noi si butta su quel che c’è, ovvero i seguaci di Grillo. Ciò che resta dei partiti, se vuole evitare di essere spazzato via, deve dunque ripartire da qui. Fare pulizia all’interno del sistema e rinunciare al finanziamento pubblico è importante, ma non basterà. In particolare al centrodestra, che, se non vuole sparire come è accaduto in queste Amministrative, ha un solo modo di riconquistare la fiducia degli elettori: buttar giù il governo. Se, come rivelano i sondaggi, il 70 per cento di chi vota Pdl è contrario a sostenere l’esecutivo, per il partito fondato da Berlusconi appoggiare i professori equivale a un suicidio. E, come elettori di centrodestra, possiamo testimoniare che di morire per Monti non abbiamo alcuna intenzione.   di Maurizio Belpietro