La Regione alza il gomito

Toscana, piano paesaggistico: "Basta vigne, meglio le pecore"

Andrea Tempestini

Immaginate: Chianti, Bolgheri, Montalcino, Montepulciano, Maremma. Cartoline da sogno dove, parafrasando Dante, “la Toscana di vigne si corona”. Viti e vino, una calamita unica e irresistibile per i turisti, attestati sui 600mila all’anno. Eppure, a Tony Blair e al vippume vario innamorato di Chiantishire e affini, andrebbe fatto vedere il Piano di Indirizzo Territoriale della Regione (ovviamente in mano al Pd), adottato in luglio dal Consiglio Regionale, secondo il quale molte di quelle vigne sono di troppo. Il Piano, realizzato con il contributo di un gruppo inter-universitario costituito ad hoc fra i cinque maggiori atenei regionali (Firenze, Siena, Pisa, Sant’Anna, Normale), ritiene che tutti questi vigneti siano troppi, troppo intensivi e tendenzialmente monocolturali, un pericolo da un punto di vista morfologico e idrogeologico, oltre che, in qualche modo, un rischio di deriva storica del paesaggio. E dunque apre alla possibilità di non impiantare nuove vigne al posto delle vecchie; meglio riconvertire i vigneti già esistenti ad altro tipo di attività agricola. LE OBIEZIONI Clamoroso, per una regione che da sola esporta quasi il 20% del vino italiano (750 milioni di euro su 5 miliardi). Dunque, con una sintesi estrema: via le vigne, accanto agli uliveti ecco boschi e pascoli, mucche, struzzi e alpaca, che vanno di moda. Del resto, chi non ha in casa uno di quei “classici” calendari della Toscana dove le star sono i pastori e le loro bestie? Insieme ai giorni si contano le pecore, no? Una forzatura giornalistica? Non la pensa così Giovanni Busi, presidente del Consorzio Vino Chianti, il più grande della Regione: «Leggere il Piano e sostenere che al posto dell’uva la Regione preferirebbe mettere le pecore, con tutto il rispetto per questa nobile attività, non è lontano dal vero, purtroppo. Oggi serve dinamismo, un’agricoltura produttiva e di reddito, non il ritorno alle situazioni di inizio ’900. Si tratta di un piano anacronistico perché ignora il ruolo fondamentale che l’agricoltura toscana ha avuto, nei secoli, per la salvaguardia e la tutela del nostro paesaggio: i nostri agricoltori sono stati non solo i migliori custodi, ma anche i più autorevoli, realistici ed innovativi architetti del paesaggio». E il pericolo idrogeologico? «Secondo voi una vigna che costa anche 50mila euro a ettaro sarà realizzata a rischio di frane?». Per presentare osservazioni al Pit (adottato all’unanimità in Consiglio, ma Giovanni Donzelli, presidente del gruppo Fratelli d’Italia, fa sapere che si muoverà per approfondire la questione, mentre l’assessore all’Agricoltura Salvadori si è detto «molto critico») c’è tempo fino al 29 settembre, poi si andrà all’approvazione. E se Sergio Zingarelli, presidente del Consorzio Vino Chianti Classico, si è preso del tempo per studiare a fondo le oltre tremila pagine del Piano, a Montalcino sono già passati all’attacco. 400 ETTARI IN FUMO Come rende noto il sito specializzato in comunicazione enologica nazionale, winenews.it, alcune stime del Consorzio del Brunello vedrebbero a rischio riconversione quasi 400 ettari di vigneto e lo stesso Consorzio ha inviato una lettera la Presidente della Regione, Enrico Rossi, in cui «manifesta forti perplessità all’attuazione del Pit», invitandolo «per un incontro». Timori che però la trevigiana Anna Marson, assessore all’Urbanistica, Pianificazione del Territorio e Paesaggio, rispedisce al mittente. «Non abbiamo mai detto né scritto che le vecchie vigne saranno tolte di mezzo. Per ogni obiezione c’è ancora tempo, siamo aperti a ogni confronto, che peraltro in tempi non sospetti c’era già stato con le varie categorie ed esperti di settore. La realtà è che noi abbiamo sollevato criticità sulla proliferazione di vigneti di tipo industriale: i piccoli vignaioli ma anche le buone, grandi aziende, devono stare tranquilli». Eppure, in un passaggio del Piano, si legge che a causa delle viti si rischia la «banalizzazione morfologica ed ecologica del paesaggio». Come si può chiamare «banale» la Toscana e i suoi vigneti? «Questo», replica Marson, «è solo un termine usato fra chi si occupa di paesaggio: noi vogliamo solo evitare trasformazioni arbitrarie e non adatte ai singoli territori, andando incontro all’interesse di tutti». Chissà che ne pensa Matteo Renzi, lui che fra le viti della Val di Sieve ha la sua roccaforte? di Tommaso Lorenzini @TexBomb