Dopo la morte dei tre ebrei di Hebron
Scatta la vendetta di Israele: ucciso un ragazzino palestinese. Esplode la nuova Intifada
La sera prima, i tre seminaristi ebrei massacrati, il diciannovenne Eyal Yifrach e i sedicenni Naftali Frenkel e Gilad Shaar, erano stati appena seppelliti. Già dopo poche ore, ieri mattina, un altro innocente, stavolta palestinese, è stato travolto dalla spirale di vendette. Col rischio di portare a una temutissima Terza Intifada. Il diciassettenne Mohammed Abu Khdeir si stava recando a pregare in una moschea di Gerusalemme Est quando è stato caricato su un’automobile vicino al negozio paterno nel sobborgo di Shufat. Testimone del rapimento, lo zio Saed Abu Khdeir: «Due uomini gli si sono avvicinati per chiedere informazioni, poi lo hanno spinto dentro una macchina guidata da un terzo uomo. Essendo mingherlino non ha potuto ribellarsi». Un’ora dopo, il corpo del ragazzo, mezzo carbonizzato, è stato scoperto nella foresta di Givat Shaul. La radio militare israeliana, nel darne notizia, ha ipotizzato che dietro ci possano essere estremisti ebrei che alla barbarie avrebbero quindi risposto con un’altra barbarie. Subito si è scatenata la violenta protesta dei palestinesi nei sobborghi di Gerusalemme Est, a Shufat e Beit Hanina, ma anche a Jenin. A centinaia hanno lanciato pietre contro la polizia israeliana, che ha risposto con lacrimogeni e proiettili di gomma ferendo 35 dimostranti e arrestandone 47. Nel frattempo, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, si è rivolto al premier israeliano Benjiamin Netanyahu: «Se vuole la pace fra i nostri popoli, deve punire i colpevoli». Netanyahu ha definito l’uccisione del ragazzo arabo «crimine abominevole». Se lo sdegno per queste morti assurde è comune, il fossato resta profondo, specie nei confronti di Hamas, il movimento estremista palestinese la cui recente riconciliazione coi moderati di Fatah, la fazione di Abu Mazen, pone un grosso dilemma all’ANP. Le misure israeliane in risposta al massacro dei tre seminaristi, fra cui i 35 attacchi aerei di martedì e i 42 arresti di militanti di Hamas nella notte fra martedì e mercoledì, saranno seguite da altre, anche perché da più parti, per far cessare i rinnovati lanci di razzi su Israele, si chiede un’operazione militare di soppressione. Mentre i presunti colpevoli Marwan Qawasmeh e Amer Abu Aisheh latitano ancora, il governo di Netanyahu è preso da febbrili riunioni a porte chiuse. Si teme una nuova rivolta palestinese dopo la Prima Intifada del 1987-1993 e la Seconda del 2000-2005. E già si scomoda il ricordo dell’operazione Scudo Difensivo, che nella primavera 2002 vide impegnati 20.000 soldati ebraici, con tanto di carri da battaglia Merkava, contro 10.000 miliziani palestinesi, culminando con l’assedio del palazzo di Yasser Arafat a Ramallah. Si porterebbe Scudo Difensivo a modello di una prossima azione. Ma anche Hamas non è da meno, col suo arsenale di razzi sempre pronto e contando sulle fitte reti di contrabbando di armi che dal Sinai arrivano a Gaza, complici le carovane dei salafiti del Sahara e lo saccheggio dei munitissimi arsenali della Libia ormai “Far West”. La famiglia di uno dei ragazzi israeliani scannati, Naftali Frenkel, cerca di smorzare la tensione: «Se un giovane arabo è stato ucciso per motivi nazionalistici è un atto orrendo e orribile». Ma non basta. Nelle ultime ore varie “teste calde” hanno cercato di farsi “giustizia” da sé. Quattro ragazzi israeliani sono stati arrestati per aver pestato due palestinesi, mentre un altro ebreo a volto coperto è stato fermato mentre cercava di aggredire un dipendente arabo di un fast food. Netanyahu ha dovuto ricordare che «siamo uno Stato di diritto». Ma Hamas soffia sul fuoco, ripartendo dall’uccisione di Khdeir: «Il nostro popolo non lascerà passare questo crimine, né tutte le uccisioni e distruzioni da parte dei coloni». Aggrava la situazione anche il piano per 3000 nuovi insediamenti coloniali in Cisgiordania, già condannato dall’Unione Europea, e sul quale Netanyahu non farà retromarcia. di MIRKO MOLTENI