Il contrappasso

Il Fatto quotidiano prepara la quotazione in Borsa, lettori contro Travaglio: "Venduti"

Giulio Bucchi

Ci stanno provando, quelli del Fatto Quotidiano, a correre ai ripari. Non dev’essere un caso se da qualche tempo lo spazio riservato alle osservazioni dei lettori che si trova alla fine di ogni articolo del loro sito è preceduto da un’avvertenza - ben evidenziata in grassetto e addirittura colorata di rosso - in cui si fa presente che «per alcuni giorni, a causa di ragioni tecniche, tutti i commenti andranno in pre-moderazione. Inoltre, chi posterà più volte lo stesso commento (anche se con parole diverse) verrà segnalato». Ma è un’iniziativa che ricorda molto da vicino quella, proverbiale, di chi chiude un recinto quando oramai i buoi si sono dileguati. I buoi in questione sono appunto i lettori del Fatto, i quali stanno dimostrando di non gradire per nulla le metaforiche corna che, ritenendosi traditi dal loro giornale di riferimento, hanno visto spuntare sulla propria testa. Il «tradimento» di cui stiamo parlando, annunciato alcuni giorni fa sul sito del quotidiano dall’amministratore delegato Cinzia Monteverdi, consiste nella decisione di quotare in Borsa la Società Editoriale Il Fatto. Una scelta che ha letteralmente scatenato gli aficionados di Padellaro, Travaglio, Gomez e compagnia, i quali non sembrano essersi fatti persuadere dai toni cauti (se non proprio timorosi) e dalle premure dell’ad Monteverdi, e hanno anzi accolto il suo annuncio con un autentico profluvio di post al vetriolo. Una marea avvelenata che neppure il filtro operato a monte dalla redazione internettiana del “Fatto” ha potuto arginare e contenere. Parole al vento - Ha un bel dire, Cinzia Monteverdi, nel suo intervento intitolato «Editoria, ecco il perché il Fatto Quotidiano si quota in Borsa», che «l’obiettivo fondamentale è l’ampliamento dei contenuti del giornale, lo sviluppo di una nuova applicazione digitale - e l’aumento delle copie relative - la crescita del sito, con sezioni aggiuntive, un refresh grafico, lo sviluppo di nuovi modelli di raccolta pubblicitaria sull’online - che possano ottimizzare i ricavi - e la creazione di una struttura giornalistica, ingegneristica e tecnica che possa sostenere tutti gli sviluppi previsti». Alla gran parte dei lettori del Fatto, a quanto pare, di tutto questo non interessa un bel niente. E a nulla vale rassicurare che la quotazione in Borsa al mercato delle piccole e medie imprese non sarebbe, nel loro caso, «solo un’operazione volta a raccogliere i capitali necessari a finanziare il progetto industriale - e tantomeno perché i soci fondatori di questa avventura intendano scappare - ma pensiamo piuttosto di farlo per rafforzare il rapporto di fidelizzazione con voi, i nostri lettori, in linea con il nostro storico slogan: “Il nostro padrone è il lettore”». Parole al vento. Per il grosso degli utenti è come se Il Fatto avesse stabilito di stringere un patto col demonio, di cedere la propria anima a Messer Satanasso. Più del 90% dei commenti (controllare per credere) ha il tenore dei pochi che, qui di seguito, ci premuriamo di trascrivere a mo’ di esempio. Da «Andare in borsa a così poco tempo dalla nascita è un tentativo abbastanza maldestro di fare cassa nel timore che il giornale, passata la novità, mostri tutte le sue lacune» a «Potreste cambiare nome al giornale, da “Il Fatto Quotidiano” a “II Fatto Nostro” o, se preferite, “I Fatti Nostri”», passando per «Con la quotazione in borsa è inevitabile il rischio che la finanza e i capitalisti mettano le mani su quel che resta dell’informazione» e «Io non vi vedo bene, a poco a poco noi che vi abbiamo fatto nascere ce ne stiamo andando». Per concludere con chi, lapidario, si limita a ricorrere a una nota massima latina: «Pecunia non olet». Il che è indubbiamente vero: il denaro, di per sé, non puzza. E bene fanno, i colleghi del “Fatto”, a quotare le proprie azioni se ritengono che tale passaggio sia necessario al rafforzamento della loro impresa. Reazioni indotte - Il problema è un altro. Se si allevano i propri lettori, ed è sicuramente il caso del “Fatto”, nella convinzione che la Borsa - e il mondo della finanza in generale - non siano altro che un luogo di truffe, un ricettacolo di gente senza scrupoli e un covo di malversatori che hanno in spregio le regole democratiche, poi non ci si deve meravigliare se la decisione di entrare a propria volta a far parte di quel contesto suscita reazioni sdegnate, eccessive, virulente. Sono i ben noti inconvenienti generati dalla mancanza di coerenza, e non c’è modo di schivarli. O comunque, per evitarli, non è di certo sufficiente la precauzione di moderare i commenti telematici che, copiosi, vengono inviati da chi si sente tradito. E se, per restare nella metafora, la parte dei «cornuti» spetta ai lettori del “Fatto”, i mazziati rischiano nella circostanza di essere altri: coloro che al “Fatto” ci lavorano. di Giuseppe Pollicelli