Fuga dal Nazareno

Filippo Taddei: "Lascio la segreteria Pd, ultimo anno molto duro. Troppi errori"

Giulio Bucchi

"Sento il rimpianto per gli errori commessi, e ancor più per le cose che non siamo riusciti a fare in questi tre anni". Filippo Taddei lascia così, senza polemiche ma con un filo di velenosa amarezza, il suo ruolo di responsabile economico del Pd. Il professorino di Renzi, 40enne economista della John Hopkins University spesso in tv a snocciolare numeri con aria un po' saccente, spiega alla Stampa che, con le dimissioni del segretario, il suo ciclo ("Tre anni di volontariato") è terminato. E sottolinea come quel cambiamento radicale promesso dopo il 40% delle Europee del 2014 non c'è mai stato.   "Abbiamo iniziato a costruire una casa, spiegando ai cittadini quanto erano buoni i mattoni che mettevamo uno dopo l'altro: dal Jobs Act al fisco fino all'ultimo provvedimento sulla povertà. Ma non abbiamo spiegato bene il progetto complessivo, il filo rosso che lega tutte le scelte che abbiamo fatto". Un problema di comunicazione, dunque, più che di contenuti. Secondo Taddei, dopo il Lingotto il Pd è più forte perché "abbiamo capito la lezione del 4 dicembre. Non abbiamo fatto solo errori di comunicazione, ma politici. Pensavamo che il Paese potesse avere più pazienza, e invece c'è una fame di cambiamento che non aspetta. Al Lingotto abbiamo cercato di riannodare i fili". Con il "Napoleone Renzi", spiega, c'è stato qualche problema: "L'ultimo anno di lavoro nel Pd è stato molto duro. Il focus sulla riforma costituzionale ha portato a un accentramento del ruolo di Palazzo Chigi. Credo che si sia capito che il partito va gestito diversamente". Deluso dal rapporto con il premier-segretario? "La politica non è un rapporto romantico tra persone, al massimo tra le persone e le idee. Ho ancora voglia di fare qualcosa per il mio Paese, vedremo come".