Confessione

Enzo Tortora, parla la vedova: "Le sue parole aspettando la morte"

Alessandra Menzani

Francesca Scopelliti, moglie di Enzo Tortora, ricorda il marito. "Di ricordi ne ho conservati tanti e sono tutti vivi. Il primo incontro fu un' intervista che Tortora concesse a me, giovane giornalista dell' agenzia Staff Studio", dichiara a Il Giornale, "mi affascinò quest' uomo galante che, a differenza di altri uomini dello spettacolo, parlava in maniera completa. Quando sbobinai mi accorsi non solo che le frasi erano tutte compiute, ma mi suggeriva persino la punteggiatura". Francesca racconta i risvolti più intimi della loro relazione. Ricorda "i lunghi pomeriggi di lettura nella casa di via Piatti, quando Enzo era agli arresti domiciliari. Le battaglie fatte insieme dopo la scarcerazione perché ottenesse giustizia". Il conduttore di Portobello ha scritto alla donna molte lettere, raccolte in un libro. Alcune citazioni: "Credimi, Francesca. Ma abbi fede, e la certezza che ti amo. Nessuno, come te, la possiede. D' altronde, né tu né io potevamo prevedere (neppure il demonio) che le cose assumessero il passo dell' inferno. Bisogna viverlo. La forza non è altro. Ti abbraccio amore mio. Non abbatterti". Le scriveva dal carcere di Bergamo nel 1984, in attesa della scarcerazione. "Quando si dimise da parlamentare europeo", prosegue Francesco, "e tornò a casa, agli arresti domiciliari, trascorrevamo ore e ore a leggere e parlare di libri, la cosa che forse più adorava. Li chiamavamo "i pomeriggi culturali". Partivamo, per esempio, da Tolstoj, da Guerra e pace per poi viaggiare con l' immaginazione, un' esplorazione continua nella storia e nel mondo. Vivendo accanto a un uomo così speciale la vita diventa eccezionale, inevitabilmente". "Passavi dal principe Bolkonskij a Edmond Dantès, dai Miserabili a Delitto e castigo", prosegue la Scopelliti. "In una lettera drammatica dal carcere, citò Dostoevskij per spiegare la monotonia dietro le sbarre: il tempo che scorre come il gocciolare dell' acqua dentro un cassetto dopo la pioggia. Aveva una cultura straordinaria". "Tortora amava stare con tutti", dice Francesca, "ma in particolare con la gente più semplice. E credeva molto nelle istituzioni, si commuoveva, per esempio, quando sentiva il concerto della fanfara dei bersaglieri. Portobello ha incarnato tutto questo". Il carcere, ovviamente, l'ha trasformato: "Passare per il tunnel di un' inchiesta giudiziaria basata sul nulla che ti fa diventare un mister Hyde, un mostro, perché questo era l' intento dei magistrati di Napoli, ti cambia". E a Francesca scriveva: "Vai in un bar prendi un caffè per me, tocca la tazzina, cammina sui prati, baciami il mare". Sentiva che la sua fine stava arrivando: "Lui parlò di una "bomba al cobalto che mi è scoppiata dentro" e quindi, probabilmente, sentiva che qualcosa anche nel suo corpo era cambiata. Sono convinta, e questo lo dico dopo avere vissuto tutti gli eventi, anche quello tragico della sua morte, che lui abbia dominato quella bomba perché aveva appuntamenti irrinunciabili: la denuncia del sistema penale in Italia, la battaglia contro la vergogna di un innocente in carcere senza uno straccio di prova, tutto degno, lo scrisse, del "regime di Pinochet".