Il caso
Pier Paolo Pasolini diventa una maglietta trash
Nel romanzo Petrolio, rimasto incompiuto per l’assassinio del suo autore nel 1975, Pier Paolo Pasolini descrive una scena apocalittica, che egli stesso definisce «visione», in cui esprime il proprio orrore per il trionfo del più protervo e greve consumismo. La scena è ambientata in Via di Torpignattara, storica periferia a sud-est di Roma oggi abitata per lo più da extracomunitari, e ha per protagonisti un ragazzotto dall’aspetto sgradevole e dall’abbigliamento volgarmente giovanilistico, e la di lui fidanzata, i quali percorrono abbracciati la via suddetta, versione grigia e asettica di un girone dantesco in cui tutto si è trasformato (in peggio, secondo Pasolini) rispetto a qualche tempo prima. Pur nel pessimismo dei suoi ultimi anni di vita, mai PPP avrebbe immaginato in quale misura la sua visione sarebbe stata sorpassata, quarant’anni dopo, dalla realtà. È successo alcune sere fa, poco lontano da Via di Torpignattara, in un quartiere, il Pigneto, legatissimo alla figura di Pasolini in quanto lì, nel 1961, vennero girate molte sequenze del film d’esordio di Pier Paolo, Accattone. Se un tempo era un luogo di proletari e sottoproletari, da alcuni anni il Pigneto è divenuto un sito modaiolo, in cui cenare decentemente costa un occhio della testa e in cui, quasi ogni sera, si registra l’assalto di turbe di giovani composte da universitari, hipster e sedicenti alternativi. Costoro si considerano politicamente impegnati e, benché solo a parole, ritengono doveroso contestare il «sistema». Da quelle parti Pasolini è un nume tutelare e il suo culto viene officiato soprattutto dal Bar Necci di Via Fanfulla da Lodi, dove la troupe di Accattone si rifocillava durante le pause del film. L’ultima iniziativa del bar è stata celebrare, attraverso una piccola mostra fotografica ospitata nelle sue sale, il rapporto tra PPP e il Pigneto. Ne è scaturita, giovedì scorso, una serata inaugurale che ha sancito la riduzione di Pasolini a puro oggetto di consumo. Eravamo lì ed ecco cosa abbiamo visto. Dapprima un murale realizzato in via Fanfulla da Lodi da un certo Omino71, street artist romano, in cui il volto di Pasolini è inguainato nella maschera del supereroe yankee per eccellenza, Capitan America, e reca sulla fronte una delle frasi più famose ma anche più discutibili e controverse del poeta, «Io so i nomi». Poi, all’interno del bar, un mercatino in cui erano esposte, oltre al catalogo della mostra, delle t-shirt con stampato il Pasolini Capitan America e messe in vendita alla «modica» cifra di 25 euro. Quindi delle serigrafie, riproducenti lo stesso disegno, il cui costo era addirittura di 120 euro l’una. Abbiamo comperato sia il catalogo che (a futura memoria) una maglietta e - anche in ragione del fatto che non veniva rilasciato scontrino - abbiamo osato chiedere un piccolo sconto, ma ci è stato risposto che proprio non era possibile. In compenso ci siamo portati a casa due spillette omaggio (una per acquisto) con la faccia di Pasolini… Intorno, gente che fotografava il murale di Omino71 producendosi in commenti che dimostravano una conoscenza pressoché nulla dell’opera pasoliniana. Ricevere da un artista di strada l’«omaggio» di essere ritratto nei panni del più capitalista dei supereroi e vedere la propria immagine oggetto di sfrenato commercio, senza che la cosa turbi o scandalizzi nessuno, neppure a sinistra. Davvero l’inferno in terra, per Pasolini. Non a Via di Torpignattara ma al Pigneto, solo qualche centinaio di metri più in là. di Giuseppe Pollicelli