Narrativa
Il maiale è frustrato come noi
Dicono che il pubblico di Maurizio Milani si divida in due: quelli che lo adorano e quelli che non lo capiscono. La sua comicità surreale è ad alto livello di raffinatezza, a partire dai titoli dei suoi libri che sono piccoli slogan indimenticabili: La donna quando non capisce s’innamora, In amore la donna vuol tribolare, Vantarsi, bere liquori, illudere la donna e, su altri temi parecchio attuali, Del perché l’economia africana non è mai decollata. Il fatto è che Milani (nome all’anagrafe Carlo Barcellesi) dalla sua postazione di Codogno, vicino a Lodi, dove risiede, riesce a cogliere gli umori universali di un’intera civiltà, la nostra, quella di noi occidentali aggrovigliati nelle nostre nevrosi e nelle nostre insicurezze. Le donne di Milani sono quelle che si innamorano degli uomini che ragionano male, come dice lui. Perché tutti, in fondo, ragioniamo un po’ male, ormai. Il suo ultimo libro pubblicato s’intitola Il verro ruffiano (Baldini & Castoldi, pp. 192, euro 15) e ha avuto meno diffusione di quanto meritasse, come capita a molti volumi che hanno bisogno di qualche premessa per essere capiti. E qui la premessa è che l’autore va sempre letto con totale sospensione dell’incredulità e accettandone ogni iperbole, come si fa anche con la scrittura umoristica di Paolo Villaggio, per esempio. Perché le esagerazioni non fanno altro che sottolineare il carattere paradossale di ogni nostra esperienza quotidiana. Il verro ruffiano è quell’esemplare che in porcilaia viene designato a fiutare le femmine in calore. Il racconto, che procede per capitoli brevi e spezzati, con lunghi spazi bianchi fra le pagine, è la narrazione di un lavoro agricolo durissimo e poco gratificante che si fa subito simbolo di vita dura e meschina. Il povero maiale Vasco, di razza Duroc, è di quelli che “spaccano fuori tutto”. Mezza tonnellata, in corsa può abbattere un muro di mattoni, eppure è anche un animale “sensibile e romantico”. La vena comica di Milani gioca spessissimo sullo scarto di significato. Con un effetto nonsense come questo: “Le autorità hanno il vizio di darci in custodia diverse bestie sequestrate. Ieri ci hanno portato una pavoncella nana. Ci manca appena che ci portano uno yak. Il gorilla di montagna c’è già, e io sono pronto ad accettare di tutto, ma non lo yak. Voi non avete idea che odore ha! La cinciallegra e il licaone invece li tengo volentieri. Per quanto riguarda gli struzzi sequestrati, li portano sia qui che a Locarno. Comunque uno lo avevamo già. L’avevo comprato anni fa a un’asta”. Si passa da animali probabili a animali improbabili. Da luoghi probabili a luoghi improbabili. Si assiste a un rovesciamento, anche dichiarato, della realtà. Come questo: “Abbiamo inaugurato da poco il Porcile alla Rovescia. In pratica mettiamo dei verri da 400 kg e li tiriamo giù fino a 70 kg. Perché lo facciamo? Per farci pubblicità nel mondo della comunicazione. Ormai il business non è più sul prodotto, ma su quello che il prodotto rappresenta”. Vasco, condannato a scoprire le femmine fertili, salvo doverle lasciare ad altri, rappresenta la punta massima della frustrazione sociale e sessuale. L’identificazione con il goffo adolescente che quasi tutti siamo stati, è automatica. Il sorriso che Milani suscita, è poesia dell’abbandono: “C’è un airone che al pomeriggio viene sempre a trovare Vasco. Lo invita ai rave party. Vanno molto d’accordo e si vogliono bene. L’airone quando mi vede però vola via”. Per il resto, in questo mondo fatto di una lingua parlata e impeccabilmente assemblata, bisogna entrarci. Bisogna assimilare il carattere personale di questa scrittura, riconoscibile come un marchio: “I verri, special modo quelli ruffiani, hanno una caratteristica: spaccar fuori tutto. Nessun altro animale del pianeta è così vandalo. Questo aspetto, dispiace dirlo, è bello”.