Esordi narrativi

"Essere lasciati? Si soffre e poi si perdona"

Paolo Bianchi

Arrivo trafelato all’appuntamento telefonico con Sabrina Nobile. Parleremo soprattutto del suo (primo) romanzo, Per metà fuoco per metà abbandono (pp. 192, euro 16), storia di una donna, Sara, mollata dal marito e rimasta con due figli a chiedersi il perché. La muta domanda è rivolta allo specchio, nel quale la donna vede spesso immagini inquietanti. Inoltre, Sara si trova a dover gestire il rapporto con un padre, ex bon vivant distratto, ormai anziano e dalla mente indebolita. Una donna di ordinario, o straordinario dolore, nella quale si riconosceranno tutte le sue omologhe che si siano mai trovate a gestire una famiglia durante una separazione coniugale. L’autrice è nota per essere, perdonate l’espressione, “un volto televisivo”. Come inviata delle Iene, per esempio, in agguato fuori dal Palazzo interrogava i politici su banali questioni di geopolitica a cui non sapevano rispondere. Dato che non abbiamo molto tempo per chiacchierare, propongo un botta e risposta, una specie di speed date, senza stare a pensarci troppo su. Parto a bruciapelo. Il libro riflette una sua esperienza personale? Insomma, è autobiografico? "Mah… no, anche se è il frutto di una gestazione particolare, e del montaggio di tante parti scritte in periodi diversi della vita". Quanto tempo le ha richiesto? Anni? "No, anni no. Però non ho scritto con continuità, potevo stare anche due settimane senza scrivere niente, e poi starci sopra per tutto un weekend". La protagonista, Sara, che soffre per essere stata lasciata per un’altra, è una donna maltrattata? "Io non l’ho pensata così, però è vero che chi legge un romanzo si sofferma sulle cose che più gli risuonano". Chi è “l’uomo nello specchio” che visita Sara? "È la parte maschile di sé che lei vede quando si guarda allo specchio, appunto. Orrenda, grigia, spenta, deprimente. Ma allo stesso tempo fa da filtro fra lei e il mondo. È come un meccanismo di difesa". La figura del padre di Sara, malato e morente, non è un gran modello di pater familias… "Ma chi lo è veramente nella realtà? Dove sono queste figure perfette? Lo sguardo della figlia sul padre in fondo è molto dolce, lei impara a perdonare lui e se stessa". Nel libro ci sono diverse descrizioni di sogni. Lei è una che se li annota e poi li usa per scrivere? "Alcuni sì, mi colpiscono, perché contengono alterazioni dovute al dolore. Sara che sogna le sue ossa che escono dal corpo… è il tema della fragilità". Letture che per lei hanno segnato una svolta? "Ne dico alcune che mi hanno colpita: Luna Park di Bret Easton Ellis, più che altro per le atmosfere. E diversi saggi dello psicanalista Irvin Yalom, per esempio Le lacrime di Nietzsche. Lei c’è andata dallo psicanalista? "Sì, di scuola junghiana". Utile? "Interessante. Una realtà di te che ti viene restituita. Certo, uno deve poterselo permettere". Come la sua protagonista, lei è mai stata lasciata? "Sono stata lasciata e ho lasciato". Quando si soffre di più? "Domanda banale…" Solo uno sbandamento marzulliano, abbia pazienza… "Quando si è abbandonati. Dopodiché, è questione di lasciarsi andare fino ad accettare la sofferenza. Come fa il mio personaggio". Quanto ha influito la sua carriera televisiva sul fatto di scrivere un romanzo? "Sono stata influenzata dal linguaggio televisivo per quanto riguarda la velocità e il montaggio della narrazione. Un conto è la tv, un conto la pagina scritta. Come cambia il rapporto con il pubblico? "È prematuro dirlo, perché il libro è appena uscito. Ma ho parlato con donne che lo hanno letto. Si possono condividere emozioni forti, esperienze di separazione, di rapporti col padre, di morte del padre". Lei ha figli? Ne ho una serie… però adesso mi scusi, devo proprio andare. Ma il libro le è piaciuto? Non saremmo qui.