Figc, nessuna via di scampo: colpevoli

Luciano Moggi

Mentre alla redazione della Gazzetta dello Sport il direttore Andrea Monti continua ad arrovellarsi sull’enigma delle intercettazioni sfuggite  ( erano o no nella disponibilità della giustizia sportiva nel 2006? ), noi di CJ abbiamo da tempo preso una posizione molto più semplice e, non per questo, meno motivata. Per quanto ci riguarda la Figc è comunque colpevole, senza via di scampo. E’ assai improbabile che quelle intercettazioni poi scovate da Penta fossero già nella disponibilità di Palazzi e Borrelli nel 2006, anche perché in tal caso l’omissione avrebbe carattere quasi certamente doloso, alla luce di quello che poi il super-procuratore Palazzi vergherà nella sua relazione del luglio 2011. In quell’estate caotica il materiale fu messo a disposizione dalla procura di Napoli, secondo una procedura irrituale rispetto a quanto previsto dalla legge 401 / 1989 ( legge sulla frode sportiva ): allora fu Borrelli a prendere in consegna il materiale napoletano, limitato perlopiù alle informative dei Carabinieri, e lo fece da “privato cittadino” non avendo ancora assunto le funzioni di capo dell’Ufficio Indagini Figc. Una violazione grave riconosciuta peraltro dallo stesso Borrelli innanzi al Senato. Molto più probabile quindi che quegli atti non fossero a disposizione della giustizia sportiva del 2006: ciò nonostante, una volta accertata la parzialità del materiale a disposizione, la Figc avrebbe dovuto in ogni caso attivarsi. La Figc non è un’ente che può agire legibus solutus, slegato dalla legge: la menata della autonomia della giustizia sportiva vale solo fino ad un certo punto, perché se è vero che allo sport è riconosciuta una certa autonomia statutaria, finanziaria e disciplinare, dall’altro lato è indubbio che il quadro normativo di riferimento sia quello dell’ordinamento generale. La Figc avrebbe dovuto condurre un’istruttoria completa, quale non è stata quella del 2006. Questa consapevolezza fu esplicitata dal più autorevole inquirente di quella federazione, quel Francesco Saverio Borrelli che, chiamato con grande premura da Guido Rossi, doveva assicurare prestigio e credibilità all’indagine sportiva: obiettivo fallito, anche per i limiti strutturali del processo sportivo e del codice di giustizia, che non potevano ( né possono, oggi ) considerarsi strumenti adeguati per affrontare un processo quale calciopoli. Borrelli, nel corso dell’audizione innanzi al Senato della Repubblica, ebbe a criticare apertamente la struttura del processo sportivo. Il senatore Manzone ebbe a dire, testualmente: “ribadisco che per fortuna, come ho detto in premessa,tutto questo non ha dato la stura ad una serie di ricorsi in via amministrativa, altrimenti sarei stato curioso di conoscere come il giudice amministrativo avrebbe valutato una serie di violazioni che obiettivamente esistono e una serie di forzature che obiettivamente sono state consumate”. Parole che non troverete sulla Gazzetta dello Sport. Che quella fosse un’indagine incompleta, parziale e mirata, lo si sapeva allora e lo si sa oggi, con ancor maggior cognizione: l’omissione della Figc è gravissima e non scusabile. Borrelli e Palazzi sapevano, e per osmosi è difficile pensare che Rossi non fosse stato informato: “non ho mai negato di parlare della probabile formazione della griglia, che comunque dovevo confrontare con Pairetto, anche con tutti gli altri dirigenti di società che me ne avessero fatto richiesta. Questa consuetudine di parlare della griglia o di quegli arbitri che potevano andare nella griglia, ribadisco, ce l’avevo anche con altri dirigenti (tra gli altri Facchetti, Meani, Capello, Sacchi). Non so dire se Pairetto si confrontava con altri su questi temi. E preciso che la conoscenza della griglia era il ‘segreto di Pulcinella’ in quanto gli arbitri erano certamente individuabili per gli addetti ai lavori”. Queste le parole di Paolo Bergamo nel giugno 2006, dichiarazioni escusse direttamente dai vice di Borrelli, D’Andrea ( poi passato in Telecom ) e De Feo. Sono parole che inchiodano la Figc alle proprie responsabilità, per quello che emergerà poi negli anni successivi a quel colloquio. Si dirà, allora la Figc non aveva le intercettazioni. Scusa banale. Poteva, anzi doveva richiederle alla procura di Napoli, che così solerte si era dimostrata nel voler collaborare con la giustizia sportiva: passando a questa soltanto certo materiale, però. Gli inquirenti potevano non credere a Bergamo, considerarlo non attendibile? No. Non potevano perché un primo riscontro di tali dichiarazioni era già contenuto in due delle informative dei Carabinieri su cui vennero poi celebrati i processi – farsa: aprile 2005, novembre 2005. Nelle due informative ( rispettivamente a pag. 410 e 128 ) si trovano i riferimenti ad alcuni colloqui Bergamo – Moratti e Bergamo – Facchetti. Nessuna scusa, quindi, per gli inquirenti sportivi. Altro giro, altro carico da undici: che i designatori colloquiassero con altri dirigenti era cosa già nota dagli atti dell’inchiesta torinese, quella conclusa con l’archiviazione dell’indagine ad opera di Maddalena e col beneplacito di Caselli. Non solo: è probabile che qualcosa Borrelli avesse subodorato ( che fiuto…), tanto che ancora oggi risuonano sinistramente le sue parole. “I plurimi filoni investigativi che sin da ora emergono e che vieppiù emergeranno nel prosieguo non permettono di ritenere conclusa l’opera di individuazione delle responsabilità eventualmente attribuibili ad altre società e ad altre persone fisiche”: lo dice Borrelli, ma le parole cadono nel vuoto, perché Borrelli segue altre piste e Palazzi, nominato poi super – procuratore ( per via dell’accorpamento tra Ufficio Indagini e Procura ), non indaga. Non indaga né richiedendo immediatamente alla Procura di Napoli il materiale d’indagine mancante, né nel 2007 prendendo copia di tutto il fascicolo d’indagine come nel diritto di ogni parte civile regolarmente costituita. Lo farà, questo passo, la Figc, solo nel 2010 ed a prescrizione abbondantemente decorsa. Sinceramente, non ci importa molto sapere se quelle intercettazioni erano o no nella disponibilità della giustizia sportiva nel 2006. Cambierebbe solo il grado di responsabilità, comunque assai grave. Il problema è che nessuno in Federazione sembra rendersene conto, giungendo alla più logica delle reazioni: le dimissioni. E lo stesso vale per la stampa muta e connivente. Ci sarà un motivo se la Figc dovrà rispondere davanti al Tar per 443 milioni di euro di danni. Ci sarà un motivo se in Italia siamo 72° per libertà di stampa. di Nicol Pozzi