"Ma quale Cupola, telefonavano tutti"

Luciano Moggi

Cosa resterà degli anni Ottanta non lo sa neanche Raf. Sappiamo, invece, che resta poco dell’accusa di associazione a delinquere - tradotta da Borrelli nell’innovativo concetto di “illecito sportivo strutturale” che venne usata come un maglio dalla giustizia sportiva nel 2006 sulla Juve. ALL INCLUSIVE - Uno dei cardini dell’accusa era proprio l’esclusività del rapporto Moggi -Designatori, ovvero, la costituzione di un tetragono grumo di potere (ricordate?) che con cene e incontri privati e con una fitta rete di contatti telefonici (di cui uno solo, nel 2006, con un’utenza riservata ma intercettabile, volendo) condizionava l’andamento di un’intera stagione sportiva. Allora, secondo i giudici, Moggi e Giraudo giocavano un campionato parallelo e telefonico a quello che i supercampioni di Capello (e di Berlino 2006), vincevano in campo contro il Milan del marconista Meani. Ebbene, i giudici del calcio giudicavano in base a quanto i Carabinieri scrivevano sulle loro informative: e i buchi sono impressionanti. Piaccia o non piaccia a Narducci, le telefonate coi designatori o - peggio - con gli arbitri ci sono e riguardano molto i dirigenti di quasi tutti i club della A. E pranzi e cene (non vietati) non erano esclusiva juventina: al processo di Napoli anche Facchetti junior ammette quella del padre con Bergamo, che va anche a casa Moratti a Forte dei Marmi, ma in arrivo ce ne sono anche altri di incontri conviviali. E non è proprio Moratti a sollecitare la visita a Milano di Bergamo per un regalo? E quanto a cene va ricordato lo scarso peso assegnato all’appuntamento al ristorante di Lodi di Galliani e Collina per parlare del futuro da designatore. In ogni caso anche a Parma si osserva il rito senza bisogno di Moggi come asserito per i Della Valle: Sacchi invita i designatori a casa Tanzi, lo confessa Baraldi al processo. Era il 20 gennaio 2009 si apriva il dibatti­mento del processo a Moggi più altri 23. Per l’Italia e il mondo Calciopoli era uno scandalo inequivocabile che aveva travolto la Juventus, e marginalmene altre squadre, nell’estate del 2006. Ascoltando per la seconda volta il teste Nucini, martedì s’è praticamente chiusa la fase dibattimentale, quella in cui si formano le prove nel contraddittorio. Le crepe nelle architravi della Cupola disegnata dai pm di Napoli (e su cui si appoggiò pedissequamente pure la Giustizia Sportiva) erano già evidenti con la sentenza Gea dell’8 gennaio 2009, ma in 26 mesi di testimonianze e perizie ab biamo scoperto un altro “mondo telefonico” e un’altra verità che non s’era voluta (o saputa) descrivere nelle informative. Insomma, Calciopoli è diventata un’altra cosa, udienza dopo udienza, nell’aula 216 della IX sezione del tribunale di Napoli, davanti al la giudice Casoria. E l’altra realtà, nascosta nelle telefonate di altri dirigenti non coinvol ti, come quelli interisti (ma anche del Palermo, della Roma, dell’Udinese, del Chievo, del Brescia etc.), s’è palesata chiaramente, scarnificando l’indagine del colonnello Auricchio: il «SULL’INTER NON SI INDAGA» (cfr. il teste Coppola), il rapporto con Baldini (che prefigura un «RIBALTONE»), la totale mancanza di prove o te stimoni del taroccamento del sorteggio arbitrale, il traballante teorema delle ammonizioni crollato sotto i colpi delle statistiche e dei co­municati federali. A Napoli abbiamo capito, al netto delle sentenze, che Calciopoli è stata una grande ingiustizia. Perché - piaccia o non piaccia - telefonavano, regalavano, cenavano, chiedevano assi­stenti o arbitri in tanti (non Moggi, incredibile dictu), senza esclusive. Abbiamo scoperto che le schede svizzere erano intercettabili e che chi era intercettato dai giudici, era da anni pedinato e controllato dagli spioni Telecom o da Nucini. Insomma, a Napoli abbiamo scoperto che c’è anche un’altra verità, che non cancella la precedente, ma la trasforma. Lo capirà anche la Figc? di Alvaro Moretti