Il test del Dna
La figuraccia della senatrice Pocahontas anti-Trump: come si auto-umilia
Pensava di aver convinto tutti della sua discendenza native-american, ma l’aver prodotto l’esame del DNA come prova e’ stato un autogol. Elizabeth Warren, che da anni Trump chiama Pocahontas (la vera eroina dei pellerossa) per prenderla in giro, ha reso pubblici i risultati del test, firmato dal professore biofisico Carlos Bustamante, della Stanford University. E’ emerso che ci sono tracce di sangue native-american, ma risalgono da un minimo di sei a 10 generazioni fa. Cio’ significa che la senatrice liberal, che vuole abolire il capitalismo, e’ “pellerossa”, al massimo, per 1/64 del suo sangue, ma potrebbe anche essere molto meno, 1/1024 (un milleventiquattresimo). Warren ha insomma schivato solo l’umiliazione di non aver mentito al 100% definendosi “Native American” quando ha compilato la domanda ufficiale per diventare professoressa di legge ad Harvard e alla Penn University usando l’affirmative action. L’aver usato per il suo tornaconto professionale quella indefinita percentuale di discendenza “indiana” resta comunque oltremodo imbarazzante. Con l’esame del DNA che ormai costa una cifra minima, “noi siamo Native America adesso. Quasi tutti noi abbiamo multipli background etnici e razziali”, scrive il WSJ, “ma Warren aveva tentato di trasformare una banalita’ genetica in una identita’ politicamente virtuosa”. Aveva, per esempio, contribuito a scrivere un libro di cucina dal titolo “Pow Wow Chow”, firmandosi come Cherokee. Ma l’essere Cherokee per un sessantaquattresimo, o magari per un millesimo, giustifica la definizione che della Warren ha dato la Facolta’ di Legge di Harvard quando l’ha presentata come “prima donna di colore nella facolta’”? In verita’, Elizabeth avrebbe fatto un favore a se stessa tenendosi per se’ il test. Per diversi motivi. Il suo caso sta infatti riaprendo la schermaglia con Trump, che ha gia’ ricominciato a scherzarla: “Ditemi la percentuale… qual e’?? un millesimo?” ha risposto ridendo ai giornalisti che gli chiedevano del milione di dollari a un ente di beneficenza promesso da lui un anno fa, “se avesse fatto il DNA”. Chissa’? “Dalle l’assegno, Donald. Farai una bella figura e avrai un divertente argomento e una fotografia che dureranno per l’intera campagna del 2020” l’ha incoraggiato il WSJ. I media si sono subito buttati sul caso, e gli strateghi DEM sono disperati perche’ cio’ toglie ossigeno ai candidati del partito DEM in lizza per novembre che vorrebbero parlare d’altro: “Che cosa le e’ passato per la testa quando ha deciso di tirar fuori il suo DNA a 22 giorni dal voto?”, ha twittato, frustrato, il dirigente delle campagne di Obama Jim Messina. E’ ovvio che la Warren sta gia’ pensando a correre per la Casa Bianca nel 2020, e con il DNA voleva impedire a Trump di usare il tormentone di Pocahontas. Ma non aveva fatto i conti con gli indiani in carne ed ossa. Invece di essere accolta tra i pellerossa come una figliola che torna a casa, c’e’ stata una reazione netta nello sconfessarla. La Cherokee Nation ha criticato con un comunicato il ricorso al DNA per rivendicare una discendenza Native American: “Usare il test del DNA per mettere le basi di qualche connessione alla nazione Cherokee o a qualsiasi altra tribu’, anche vagamente, e’ inappropriato e sbagliato”. La Warren doveva accontentarsi di aver fatto carriera sfruttando l’auto-dichiarazione di radici pellerosse e la correttezza politica tra i liberal bianchi. Invece ha fatto arrabbiare i Native American veri. C’e’ infine una conseguenza piu’ ampia, sociale, alla vicenda della Warren, che e’ diventata docente con l’aiutino della “etnia giusta”. L’affirmative action ne esce ridicolizzata, bollata come strumento di correttezza politica ma di scorrettezza sostanziale. Proprio in questi giorni, poi, nei quali si attende il verdetto del tribunale del Massachusetts sulla causa intentata dagli studenti asiatici contro Harvard, accusata di discriminazioni contro di loro e a favore degli afro-americani e degli ispanici. E di Pocahontas. Glauco Maggi