La verità nei numeri
Donald Trump? Ora anche i sondaggi che con lui sono sempre stati più "tirchi"...
I due sondaggi che sono stati finora i piu’ tirchi nel dare i voti a Trump, Gallup e Wall Street Journal-NBC News, in luglio hanno registrato il tasso storicamente piu’ alto di approvazione per il presidente: il 42% contro il 39% di giugno Gallup, e il 45% contro il 44% WSJ-NBC. RealClearPolitics, sito che tiene la media di tutti i sondaggi, da’ ora a Trump il 43,1%. Non e’ un granche’ ma e’ in linea con Obama che il 25 luglio 2010 (dopo lo stesso periodo passato in carica) era al 40% secondo Gallup. I Democratici non si danno pace per la sostanziale tenuta statistica di un presidente detestato e odiato, e sballottato di polemica in polemica un giorno si’ e l’altro pure sui media e in tv. Se non e’ la storia dei 130mila dollari pagati alla porno Stormy e’ la registrazione del colloquio tra Trump e il suo ex avvocato Cohen per come tacitare la coniglietta di Playboy Karen McDouglas. Se non e’ l’attacco alla Merkel “prigioniera del gas di Putin” e’ la gaffe di Helsinki alla conferenza stampa con Putin su quale opinione abbia il presidente dei servizi segreti USA e della interferenza della Russia nelle elezioni del 2016. Per non parlare della “collusione” e del Russiagate, un filone che non da’ pepite ma che i DEM e il Deep State (la ex burocrazia obamiana di FBI e Cia, da Comey a Brennan) tengono rumorosamente in piedi, speranzosi nel procuratore speciale Robert Mueller. Con tutto questo armamentario di attacchi che monopolizza l’80% e piu’ del giornalismo americano la sinistra non si capacita che Trump non sia stato ridotto, nei sondaggi, alla stregua di come i suoi critici dello show business e della stampa lo hanno dipinto con spietato realismo: accoltellato sul palco di un teatro di New York; decapitato e sanguinante in stile ISIS (in due diverse occasioni); assassinato da un attore, “come capito’ ad Abramo Lincoln”; preso a pugni; buttato a faccia in giu’ da una scala mobile. Sono tutti esempi presi dalla realta’. A sinistra non hanno capito che il livore contro Trump, dispiegato nel mainstream del consenso salottiero e mediatico politically correct, e’ benzina sulla passione dei repubblicani e dei conservatori. Loro si’ che sono Resistenti. Non solo gli operai del Midwest che hanno voltato le spalle a Hillary, ma anche gli ex fans di Bush e di Mitt Romney, gli scettici della prima ora che hanno via via digerito le perplessita’ su Trump, e hanno stretto i ranghi: il presidente che sbaraglio’ alle primarie l’intero stato maggiore del GOP – gli iscritti alle primarie erano 17! – vanta oggi il piu’ alto grado di favore (l’88%) tra i precedenti inquilini repubblicani della Casa Bianca, a questa data. Solo George Bush e’ stato meglio di lui, con il 96%, ma il plebiscito era dovuto al tragico momento del paese che aveva subito qualche mese prima l’attacco alla Torri Gemelle e aveva impellente bisogno di unita’. L’illusione dei DEM di oggi e’ che si fanno coraggio – e battute supponenti - tra di loro, nelle redazioni, nelle Tv, a Hollywood, persino alle partite degli atleti miliardari entrati nel giro delle star e glorificati perche’ non rispettano bandiera ed inno. E ignorano i “deplorevoli”, li obliterano, li degradano. Si sentono moralmente superiori. Ma il pubblico, quello che vede gli Oscar in Tv, che legge i giornali, che va negli stadi dove gli atleti miliardari sono ormai elites che snobbano chi paga, non ci sta. Questa mezza America di ostinati pro Trump, peraltro, e’ temprata fin da giovane. Quando vanno nei colleges, e non solo in quelli privati (Harvard Yale Columbia eccettera) dove si sa che dominano rette astronomiche e pensiero unico, ma anche in quelli statali frequentati da pochi ricchi e tanti poveri, il clima cultural-politico che devono affrontare e’ sinistro. Secondo Campus Reform, ente che monitora le universita’, alla Suny (State University di New York) di Albany, delle personalita’ invitate nel 2016-2017 a parlare 64 si sono identificate come liberal e 2 (due) conservatori. Alla Universita’ dell’Indiana il rapporto e’ stato di 44 sinistri e 4 destri; alla George Washington University 30 a 9; in Alabama 9 a 2; in Vermont 44 a 2. Uno studio uscito lo scorso aprile di Mitchell Langbert del Brooklyn College, condotto tra 8688 professori con cattedra nei piu’ importanti colleges di liberal-art (in prevalenza facolta’ umanistiche), ha scoperto che i docenti iscritti al partito democratico sono dieci volte tanto quelli iscritti al GOP. E nel 39% dei colleges non c’e’ neppure un repubblicano. Conclusione. I margini che hanno media e accademia per peggiorare la reputazione di Trump e dei repubblicani sono veramente ridotti. O, per dirla in altro modo: la maggioranza silenziosa vive e lotta insieme a Trump. di Glauco Maggi