La scivolosissima Mosca
Gli errori di Donald Trump con Vladimir Putin (e quelli di Barack Obama)
I presidenti americani hanno un curioso destino. Eletti in democrazia, lasciano la Casa Bianca dopo 4 o 8 anni al massimo. Nel frattempo, hanno a che fare con dittatori e autocrati che stanno al potere anche 20 anni, come e’ il caso di Putin ora, o anche piu’ a lungo, come i monarchi dinastici stalinisti nordcoreani, gli ayatollah iraniani inamovibili e i presidenti cinesi che, vedi l’attuale Xi, se vogliono la carica a vita se la fanno garantire dal Comitato Centrale del Partito Comunista e dal “parlamento” fantoccio. I rapporti che si trovano a gestire con questi personaggi, cosi’, diventano per il Democratico e il Repubblicano di turno un esercizio improbo, che spesso non va oltre il patetico e il velleitario. “Aprire” ai Castro da parte di Barack e’ stata una farsa. Di svolte realmente storiche ne capitano una o due ogni secolo, e sono sempre la combinazione felice delle doti di leadership politica di un presidente e della situazione oggettivamente disperata del regime da affrontare e "convincere". Richard Nixon fu il protagonista del disgelo cinese post maoista. E Ronald Reagan, trattando con Gorbaciov, effettivamente seppelli’ l’URSS e la dissolse. Anche se poi la Storia non e’ finita con l’abbattimento del Muro di Berlino, vedi il neo-imperialismo aggressivo di Putin. La norma, comunque, e’ che i presidenti al potere tendono a condurre politiche di riavvicinamento con leader e paesi storicamente avversari dell’America, perche’ uno statista di una nazione democratica punta sempre ad avere successi diplomatici che fanno avanzare la pace. E cosi’ ha fatto oggi Trump con il meeting di Helsinki: scongelare la relazione con Mosca su un piano personale, cosi’ come aveva fatto con Kim per avviare la denuclearizzazione della penisola coreana. Riuscira’? Fidarsi di un personaggio come l’ex agente del KGB e’ un tuffo nel buio, senza alcuna garanzia di successo: anzi, il passato di aggressioni di Putin e' la sola guida per leggere il suo futuro. I DEM sono arrivati ad accusare Trump di “tradimento” per essersi rifiutato di dire a chiare lettere che Mosca ha mestato nella politica USA, riferendo le parole di Putin che negano il coinvolgimento russo. Credulone e naive Trump? Se mantiene le sanzioni economiche alla Russia, e non c’e’ stata alcuna novita’, e’ il segnale che una cosa e’ la sua retorica, un altro la sua politica concreta. Peraltro, quando ai paesi della Nato recalcitranti ha chiesto di finanziare l'alleanza con il 4% del GDP ha mostrato di essere anti Mosca in concreto. Che Trump nella performance di Helsinki sia comunque andato oltre il suo stesso livello di provocatore - e di autolesionista - lo prova, tra le altre critiche di amici (Paul Ryan e Mitch McConnell, i capi del GOP in Congresso, lo hanno fatto subito pubblicamente) un tweet di un suo supporter inequivoco della prima ora, Newt Gingrich: "Il presidente Trump deve chiarire le sue frasi ad Helsinki a proposito del nostro sistema di intelligence e di Putin. E' il suo piu' serio errore della sua presidenza e deve essere corretto - immediatamente". Una critica pesantissima, questa di Gingrich, che dovrebbe davvero stimolare un serio "chiarimento" da parte del presidente USA. Trump deve saper distinguere. Da una parte c'e' la Russia, nemico storico, che va denunciata in ogni sede perche' ha interferito nelle elezioni USA, cosa chiarita dai servizi americani di intelligence, dalle commissioni congressuali e dalle incriminazioni da parte del procuratore speciale Robert Mueller dei 12 agenti della GRU russa. Dall'altra c'e' la Russiagate, manovra speciosa dei Never Trump del Palazzo obamiano per indebolire la sua presidenza: Trump ha il diritto di denunciarla come caccia alle streghe, e sempre di piu' perche' sono passati 2 anni e non e' uscito uno straccio di indizio di collusione. Ma dire di credere a Putin che dice che non ha mestato nelle elezioni e' un regalo ai suoi avversari interni, oltre che a Putin stesso. Comunque, sul terreno viscido di Mosca, vediamo i precedenti. Obama, e’ sempre bene ricordarlo al pubblico liberal ferocemente anti-russo oggi, si fece cogliere da un microfono restato aperto per caso quando disse, all’allora presidente russo Medveded, “fai sapere a Vladimir, please, che quando saro’ rieletto (nel 2012 NDR) avro’ piu’ flessibilita’ nel trattare con voi sulla riduzione dei missili”. E’ lo stesso Obama che, ad un dibattito elettorale contro lo sfidante Mitt Romney, ridicolizzo’ il repubblicano che aveva risposto “la Russia” alla domanda su quale fosse il nemico geopoliticamente piu’ pericoloso dell’America. E chi ha dimenticato l’imbarazzante teatrino della Hillary, che appena nominata ministro degli Esteri da Obama incontro’ la sua controparte russa con in mano un ridicolo bottone rosso e fece il ‘reset’? Cioe’ disse, in sostanza, ora lo schiaccio a simbolo del rinnovo di relazioni piu’ proficue tra USA e Russia. Di fatto, era una accusa a George Bush di aver deteriorato i rapporti con Mosca. Poi, pero’, Putin annesse la Crimea e invase la parte orientale della Ukraina sotto gli occhi di Barack, che non fece nulla. E’ sempre il Putin che oggi – 16 luglio 2018 – e’ nelle news per l’incontro di Helsinki con il presidente Trump e la relazione con la Russia continua ad essere nei fatti, prevalentemente, una questione di politica interna americana. I DEM non hanno accettato l’esito delle elezioni del 2016, e hanno scatenato la campagna della “collusione” tra Trump a Mosca – il Russiagate – come strategia di Resistenza per l’impeachment e la defenestrazione del repubblicano. Il procuratore speciale Robert Mueller non ha trovato alcuna traccia di intesa credibile tra lo staff di Trump e il Kremlino. I servizi d’intelligence americani, pero', prima e indipendentemente da Mueller, da tanto tempo, ossia prima che arrivasse sulla scena Trump, avevano pero’ gia’ concluso che hackers al soldo dei russi – e dei cinesi – avevano mestato nelle precedenti elezioni USA. Perche’ il governo Obama, nel 2015 e nel 2016, non mosse un dito contro le manovre russe che cercavano di destabilizzare la democrazia americana spiando nei computer dei DEM? di Glauco Maggi