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La legge sull'immigrazione e la sfida fra repubblicani e democratici
Il partito repubblicano alla Camera scopre le sue carte sulla riforma dell’immigrazione, dopo il passaggio in Senato di una legge che prevede 13 anni di attesa per la regolarizzazione degli 11 milioni di clandestini già nel Paese. Lo ha fatto attraverso Paul Ryan, l’ex candidato vicepresidente di Mitt Romney nel 2012, che ha parlato ad un pubblico di elettori nel suo distretto in Wisconsin venerdì sera, a Racine. Ryan, deputato e capo del Comitato del Bilancio alla Camera, è riconosciuto come parte autorevole della dirigenza del partito, e ciò che ha rivelato rispecchia anche il pensiero dello Speaker John Boehner e del numero due della Camera Eric Cantor. Si sapeva che il GOP non avrebbe votato lo stesso provvedimento adottato dal Senato, dove i Democratici sono in maggioranza, e ne avrebbe proposto uno proprio, che andrà poi coordinato ed unificato con quello dei senatori. Ora si sa che il voto avverrà in ottobre, un mese dopo la riapertura del Congresso, ma soprattutto che il GOP, convinto dalla batosta subita da Romney che aveva avuto solo il 29% di voti ispanici, intende chiudere questa partita ostica prima del voto di medio-termine del novembre 2014, così da togliere ai democratici l’asso nella manica di essere il solo partito pro-immigrati. “L’immigrazione è una buona cosa per questo paese. E’ il nostro paese”, ha esordito Ryan davanti ad un pubblico di 300 persone, con a fianco una persona che traduceva in spagnolo le sue parole per il folto gruppo di latinos presenti in sala. “C’è molta gente che sta dicendo di approvare la legge del Senato, ma non è quello che farà la Camera. Noi faremo di meglio. Non per tattica politica, ma perché è la cosa giusta da fare per il paese”, ha continuato. “L’intento della maggioranza repubblicana è di proporre cinque o sei distinti testi di legge per aggiustare i problemi della nostra immigrazione un passo alla volta in modo complessivo: un provvedimento sarà relativo alla sicurezza dei confini; un altro stabilirà come faremo rispettare la legge all’interno del paese, attraverso le verifiche sui posti di lavoro e attraverso il controllo sui visti della legittima presenza di chi è sul nostro territorio; poi voteremo una misura per dare i visti di immigrazione legale, una specifica per i lavoratori temporanei nel settore dell’agricoltura ed una per le persone altamente qualificate”. Il problema più delicato sarà quello della regolarizzazione dei clandestini, che i dirigenti del GOP devono risolvere vincendo le resistenze della parte oltranzista del partito che non vuol sentire parlare di amnistia. Mentre la legge in Senato ha fissato in 13 anni l’attesa minima per ottenere la cittadinanza da parte degli irregolari che si autodenunceranno, Ryan ha detto che dovranno essere di più. “Avremo un percorso per la legalizzazione di chi oggi non ha documenti validi”, ha detto la stella nascente del GOP, e più che probabile candidato presidente nel 2016, a partire dalla consegna di un “visto provvisorio” a chi uscirà dalla clandestinità e seguirà poi il calendario previsto di 15 anni. Un tempo adeguato a rispettare i diritti di chi è entrato legalmente e vivrebbe come una ingiustizia il fatto di essere “scavalcato” da chi non ha rispettato le regole e si trova in America illecitamente. Sia per essere entrato di nascosto, sia per essere rimasto dopo la scadenza del visto temporaneo ottenuto per studio o per turismo: e questi ultimi sono circa il 40% del totale degli irregolari. Le intenzioni del GOP di trovare la quadra sul tema sono sincere, e insieme interessate. Bisognerà capire che cosa sceglierà Obama. Ha davanti un’alternativa secca. Portare a casa il successo di una riforma dell’immigrazione, che sarebbe un successo storico per lui, ma dovrebbe accettare un qualche compromesso con i repubblicani. Oppure arrivare al voto del 2014 senza questa legge approvata, cosa possibile se i democratici in Congresso, da lui guidati, respingessero tutte le richieste d’intesa avanzate dal GOP, chiedendone di fatto una resa senza condizioni. Con questa strategia Obama rinuncerebbe alla gloria della storia, ma darebbe ai democratici un argomento polemico forte, nella campagna del 2014, forse in grado di far riconquistare loro anche la Camera. Visti i precedenti di Obamacare e della riforma finanziaria, fatte passare con voti partigiani e senza il concorso del GOP, è assai probabile che Obama preferisca chiudere la sua carriera alla Casa Bianca con la vittoria politica di un Congresso tutto in mani democratiche. Ciò gli darebbe gli ultimi due anni di pieno potere in cui potrebbe accelerare ancora di più la trasformazione dell’America in una nazione socialdemocratica, se non socialista. Del resto, questo è sempre stato il suo “american dream”, fin dai tempi della Columbia e per i primi decenni della sua carriera politica di attivista populista a Chicago. twitter: @glaucomaggi