Il mega-vertice alla Trump Tower

Trump ai "nemici" della Silicon Valley"Farò tutto il possibile per aiutarvi"

Glauco Maggi

L’idea di radunare alla Trump Tower l’intera classe dei maghi dell’high tech americano dice tutto di Trump, ed anche dei personaggi che hanno partecipato. La prima cosa che ha detto al gruppo (Jeff Bezos di Amazon; Elon Musk di Tesla; Timothy D. Cook di Apple; Sheryl Sandberg di Facebook; Larry Page e Eric Schmidt di Alphabet, la societa’ che controlla Google; Satya Nadella di Microsoft, Ginni Rometty di IBM e altri) e’ stata: “ Sono qui per aiutarvi ad andare bene, questo e’ un gruppo veramente stupefacente di persone”. Trump e’ uomo di successo che ammira gli uomini e le donne di successo. A chi gli aveva obiettato - gli apostoli del profeta della lotta marxiana alla ineguaglianza economica Picketty - che aveva messo nella sua amministrazione troppi milionari come lui, ha ribattuto “a me piace la gente che ha dimostrato di avere talento facendo tanto successo, perche’ il successo loro fa bene alla societa’ ”. “Non c’e’ nessuno come voi nel mondo. Nel mondo! Non c’e’ nessuno come la gente in questa stanza….”, ha lodato in modo sperticato gli imprenditori “tecnologici” presenti al meeting, che qualcuno ha valutato valessero, in ricchezza personale e capitalizzazioni di borsa, un totale di tremila miliardi di dollari. Narcisista tra i narcisi? Senz’altro. Ma con un “credo” di fondo, che e’ la sua filosofia, il suo DNA da imprenditore che lui portera’ con se’ come presidente: ci vuole gente che sappia innovare, inventare, creare, costruire grandi aziende perche’ e’ grazie a gente cosi’ che l’America era diventata grande, e che lo sara’ ancora. In primo luogo, Trump li agevolera’ togliendo i lacci e lacciuoli che imbrigliano le imprese, cioe’ ricalchera’ la deregolamentazione di Reagan. “Tutto cio’ che il governo potra’ fare per aiutarvi sara’ fatto”, ha annunciato, fino a sbilanciarsi nella promessa su cui aveva fatto flip-flop in campagna elettorale: “Voglio che vengano qui persone intelligenti e con talento”, ha assicurato a Bezos e soci, con allusione ai visti d’ingresso e alle carte verdi per giovani stranieri laureati che la Silicon Valley chiede siano moltiplicati, ma che erano finiti nel calderone della chiusura indiscriminata di Trump ad ogni genere di immigrati, proclamata nella prima fase delle primarie per conquistare i conservatori oltranzisti e far fuori i Bush e i Rubio. I conservatori puristi sul rispetto delle regole del libero mercato hanno attaccato Trump per il “salvataggio” della ditta Carrier, che non andra’ in Messico grazie a sussidi dello stato dell’Indiana. Hanno ragione, perche’ questo e’ “capitalismo corrotto”. Ma l’operazione Carrier era per cosi’ dire obbligata, poiche’ Trump l’aveva citata espressamente in campagna elettorale e non poteva rimangiarsi l’impegno solenne di mantenere i posti di lavoro negli USA fatto guardando negli occhi i lavoratori in assemblea. Sarebbe stato messo in croce come millantatore impotente. C’e’ ora il rischio che prosegua con i salvataggi “politici” di altre singole realta’ aziendali che decidono di “emigrare”, per validissimi motivi finaziari e di mercato? Eccome se c’e’. Ma la riunione con l’intero gruppo dei migliori della classe hig tech va in senso opposto. Non li ha presi uno per uno, ne ha fatto un evento strategico. Se Trump e’ un “crony (corrotto e corruttore) capitalist” lo e’ ma a beneficio dell’America, non a beneficio proprio. La differenza con Obama e con i Clinton e’ abissale. Il primo faceva favori agli amici ambientalisti DEM, come nel caso della Solyndra che e’ ben presto fallita bruciando mezzo miliardo di dollari pubblici, in ossequio alla “ideologia” del climate change, arricchendo i suoi compari politici e avendone come vantaggio i finanziamenti alla sua campagna e a quella del suo partito. I secondi, come dimostrano i decenni della Global Clinton Foundation e i nessi di Bill e Hillary con imprenditori filo DEM di ogni settore d’affari, e anche fuori dell’America, sono “crony capitalist” che al beneficio politico per se stessi, e per i DEM, uniscono il tornaconto biecamente personale. Non si accumulano centinaia di milioni in ricchezza familiare come hanno fatto i Clinton, senza aver messo su un minimo straccio di impresa, se non con gli intrallazzi e i do ut des di chi ha poteri politici, o li persegue promettendo di restituire i favori. Trump aveva un solo imprenditore tech, al tavolo della riunione,  suo alleato esplicito: il gay Peter Thiel, che fa parte del suo team per la transizione e che aveva parlato alla convention del GOP di Cleveland. Tutti gli altri sono dichiarati avversari politici, che lui intende aiutare nella loro attivita’ di imprenditori, non perche’ organizzino in cambio delle raccolte di fondi pro Trump nelle loro ville hollywoodiane, ma perche’ diventino ancora piu’ ricchi, paghino le stesse alte tasse attuali (e’ un impegno nel suo piano fiscale), e soprattutto assumano piu’ gente ben pagata e facciano esplodere il PIL USA. Trump vince se davvero l’America si fa piu’ grande sotto di lui, anche se i conflitti di interessi lo perseguiteranno per tutto il suo mandato. Sperabilmente il presidente miliardario trovera’ una formula per stare personalmente lontano dal suo business, ma un impero immobiliare non puo’ dissolversi e una famiglia non puo’ essere espropriata, in democrazia, se il suo capo si da’ alla politica. E gli americani lo giudicheranno sul metro del successo economico e delle vittorie in politica estera e terrorismo: Donald sa che il suo modello da battere e’ Ronald Reagan, questa e’ la sua sfida. di Glauco Maggi