Casa Bianca debole
Corea del Nord e Iran:la "mano tesa" di Obamaha fatto un buco nell'acqua
Entro questa settimana potremmo assistere a un nuovo esperimento nucleare nordcoreano, preannunciato qualche giorno fa con la bellicosa dichiarazione di via libera dell’attacco all’America del dittatore stalinista Kim Jong Eun. Quanto è vicina la guerra vera, dunque, che il senatore repubblicano John Mc Cain ha detto “potrebbe scoppiare per un incidente”? Nessuno può dirlo, perché in tutta evidenza l’evoluzione di uno stato conflittuale tra la Corea del Nord e quella del Sud, per non parlare del coinvolgimento diretto del Giappone, che è a tiro di missile da Pyongyang, è affidata al grado di follia, ma anche di paura di perdere il potere, del trentenne leader rosso. Si può valutare, però, che cosa ha fatto e che cosa sta facendo oggi Obama per fronteggiare i rischi atomici nel mondo, e il bilancio è negativo, e preoccupante. Partiamo dall’attualità. Per rispondere alle minacce dirette e agli atti concreti già messi in atto dalla Corea del Nord (come gli spostamenti dei missili verso la costa orientale, ora pronti al lancio, e la chiusura della zona industrializzata comune tra Seoul e Pyongyang), il neo ministro della Difesa Chuck Hagel ha cancellato un previsto test missilistico americano in California. Per non alzare la tensione e non provocare i nordcoreani, ha giustificato la mossa un alto ufficiale Usa, prima che il consigliere anziano di Barack Dan Pfeiffer, in tv, si arrampicasse sugli specchi per dire che “il governo assolutamente non abbassa la guardia” di fronte alle minacce di Kim e che l’annullamento del test non significa nulla. E che “il peso è sulle spalle di Pyongyang” per ristabilire la calma nella regione. E’ il classico approccio di chi si illude di poter convincere i nemici giurati, anche quando hanno una agenda precisa ed opposta ai disegni di pace dei paesi occidentali democratici. Purtroppo, i 4 anni e rotti spesi da Obama alla Casa Bianca tentando di rabbonire i “tiranni con il vizietto nucleare” sono stati buttati via, anzi peggio: hanno rafforzato la loro determinazione nel perseguire i rispettivi piani di armamento. La settimana scorsa, mentre Kim Jong Eun lanciava la sua sfida, finiva nel nulla l’ultima sessione di “discussioni” tra Washington e Teheran sul destino atomico iraniano, che appare sempre più inarrestabile. Chi si stupisce del fallimento del presidente Usa nel far cambiare idea al presidente iraniano Ahmadinejiad, dopo tanti corteggiamenti iniziati con il famoso discorso della “mano tesa” fatto dopo essere stato eletto, dovrebbe rileggersi quanto proclamò il presidente Usa nel 2009, e avrebbe così una (ennesima) storica prova che l’appeasement non paga. “Ridurremo i nostri arsenali nucleari e ciò ci darà una più grande autorità morale per dire all’Iran: non sviluppare una arma nucleare; e per dire alla Corea del Nord: non proliferare le armi nucleari”. Obama ha poi proceduto, con il Trattato con Mosca, a tagliarsi l’arsenale, e di recente ha anche assicurato che vuole fare di più, molto di più, per “denuclearizzare” le forze armate Usa. Ovviamente i destinatari del messaggio, Iran e Corea del Nord (oltre a Mosca e a Pechino), buttano via “l’autorità morale” dell’avversario e si tengono la autoriduzione della sua forza bellica, ma soprattutto l’ “ostentazione” di una debolezza strategica perseguita, di una eterna promessa di accettazione passiva della crescente aggressività altrui. Non dimentichiamo che nella sciagurata deposizione in Congresso, da cui comunque è uscito ministro, Chuck Hagel aveva detto che la “politica dell’amministrazione è per il contenimento dell’Iran”, cioè che si faccia la sua bomba e noi poi lo teniamo d’occhio. Dovette correggersi, perché “verbalmente” la Casa Bianca sostiene ancora che non permetterà a Teheran di arrivare a dotarsi di armi nucleari. Ma chi ci crede, se cancellano il test di un missile in casa propria per non urtare la suscettibilità della Corea del Nord? Questo clima di mancanza di una leadership Usa determinata nell’affrontare i nemici sta oltretutto aprendo spazi alla proliferazione nucleare tra i suoi alleati, che si sentono meno protetti dal suo “ombrello”: dalla Corea del Sud al Giappone, dall’Arabia Saudita agli Emirati Arabi, dalla Turchia all’Egitto, che si sentono minacciati dall’asse del male Pyongyang-Teheran. Se ripensiamo all’unico precedente in cui un dittatore ha accettato volontariamente di smantellare il proprio piano per un arsenale nucleare troviamo la Libia di Gheddafi. A convincerlo non fu la “mano tesa” di Bush, ma piuttosto il suo schiaffo militare che portò al crollo del regime di Saddam in Iraq. Il 9 aprile 2013 ricorrono i dieci anni dal giorno in cui la statua di Saddam fu rovinosamente abbattuta, nel 2003. Ma l’immagine che indusse Gheddafi a cedere, regnante Bush, non dice più nulla ora a Kim Jong Eun e ad Ahmadinejiad, regnante Obama.