Duello al ribasso
Le elezioni dei due candidati che non convincono: ecco le prove
Sono le elezioni dei due candidati che non convincono, in entrambi i maggiori partiti, e le prove della disaffezione abbondano. La prima e’ che i due esponenti di contorno, il libertario (7%) e la verde (3%), totalizzano attorno al 10% complessivamente nei sondaggi: e’ una percentuale molto alta, se si considera che Gary Johnson e Jill Stein sono pressoche’ sconosciuti al grande pubblico. Non parliamo quindi di alternative serie, di chiara fama per lo meno, come sarebbe stato un Michael Bloomberg, ma di due nomi marginali, senza speranza, che sembrano piu’ un “parcheggio” che non la finale destinazione del processo di scelta. Le altre due prove dell’ “anomalia 2016” sono le percentuali dei votanti “timidi” e di quelli “indecisi”, che presentano livelli record rispetto alle precedenti elezioni. La prima categoria, i timidi, potrebbe anche essere chiamata dei “reticenti”, quelli che hanno vergogna, o pudore, o riservatezza, a dire per chi pensano di votare, e se lo tengono per se’ quando sono interpellati dai sondaggisti. Il Rasmussen Reports ha dedicato uno specifico sondaggio alla “timidezza” e ha scoperto che il 17% dei probabili votanti repubblicani non dicono da che parte stanno, contro il solo 10% dei democratici. Inoltre, c’e’ un altro 25% di votanti non affiliati ad un partito che hanno dato la stessa risposta. Il sondaggio Rasmussen ha fatto emergere altre prove di una maggiore “timidezza” a destra: il 20% di conservatori e di moderati sono meno orientati quest’anno a rivelare la loro preferenza, a fronte del 10% dei liberal che hanno lo stesso atteggiamento riservato. Puo’, questa fascia di elettori silenziosi, costituire un bacino di consensi per Trump dell’ultimo minuto? Kellyanne Conway, la manager della campagna di Trump esperta nei sondaggi, e’ convinta di si’. Esistono tanti “sostenitori nascosti di Trump”, ha detto a un’agenzia di news inglese a fine agosto, aggiungendo che il suo lavoro nei due mesi che mancano sara’ rivolto a individuarli e a convincerli ad andare a votare. I precedenti storici di sondaggi falliti a causa delle maggioranze silenziose non mancano. Avvenne in California qualche decennio fa, quando un candidato di colore era dato per sicuro vincente ma perse. E poi, due volte, nelle elezioni inglesi. Nel primo caso i Tory, conservatori, “dovevano” dire addio alla maggioranza e invece limitarono i danni a un numero di seggi persi molto inferiore del previsto e restarono al potere. Freschissima e’ l’esperienza della Brexit, con i sondaggi del giorno prima clamorosamente ribaltati nelle urne. Anche la fotografia degli “indecisi” , scattata dal sondaggio WSJ/NBC, sorride al repubblicano. Anzitutto, a questo punto della campagna 2016 gli “indecisi” sono il 13%, ben 5 punti in piu’ dell’8% del 2012. Di tutti gli indecisi, poi, il 48% ha detto di volere un Congresso in mano al GOP (era il 29% 4 anni fa), mentre quelli che vogliono un Congresso in mano ai DEM sono il 25% (era il 30% nel 2012). E ancora: il 33% degli indecisi di oggi sono ‘bianchi con una laurea’, mentre erano il 23% nel 2012, e il 44% sono ‘bianchi senza una laurea’, mentre erano il 52% nel 2012. Si sa che Trump ha un vuoto di consensi tra i bianchi colti, mentre piace alla classe operaia bianca, e questi dati dicono quindi che ha maggiori margini di recupero oggettivi rispetto a Hillary. Anche “dove vivono gli indecisi” e’ interessante: nelle citta’ sono ora il 34%, rispetto al 27% di 4 anni fa, mentre nelle campagne sono solo il 12% rispetto al 30% del 2012 e nei sobborghi della fascia sociale media- medio-alta sono oggi il 52% rispetto al 43% del 2012. Sta ovviamente a Trump azzeccare i toni giusti nei due mesi che restano per convincere gli indecisi che sono simpatizzanti repubblicani anti Hillary, ma che non hanno ancora “digerito” lui. I sondaggi dicono che qualche vantaggio potenziale esiste. di Glauco Maggi