Verso le presidenziali Usa
Trump e anti-Trump: i repubblicani si spaccano. Cosa succederà
Nel GOP l’armata Brancaleone dei NeverTrump sta perdendo potenziali disertori ora per ora, e questo e’ un primo timido segno di conforto per i repubblicani. Forse, a novembre, si presenteranno con un partito piu’ decentemente unito di quanto hanno mostrato di essere finora, anche se non e’ il caso che gli ottimisti trattengano il respiro per l’entusiasmo. C’e’ ancora tempo per il disastro (un terzo partito di puri e duri) o anche per una performance normalmente perdente per manifesto frazionismo che azzeri le chance di vittoria. Si vedra’. Giovedi’ si incontrano Trump e lo Speaker della Camera Paul Ryan, che di diritto e’ il presidente della Convention di Cleveland essendo il repubblicano che ricopre la carica istituzionale piu’ elevata. Ma qualche giorno fa Ryan ha detto che “per ora non e’ pronto ad appoggiare Trump”. Trump ha risposto che lui, Trump, non e’ pronto ad appoggiare il programma legislativo di Ryan, al che quest’ultimo ha replicato che e’ preparato a rinunciare alla presidenza della Convention, se il “presunto nominato” glielo chiedera’. Insomma, e’ una partita a scacchi delicata. Da una parte c’e’ Donald, che deve giocare tutte le sue carte nel 2016, ed e’ convinto che il popolo di oggi, non necessariamente di soli repubblicani e conservatori, sia gia’ con lui e con la sua agenda “flessibile”. Dall’altra Ryan, che ha in mente la sua corsa alla Casa Bianca tra 4 o tra 8 anni, e vuole presentarsi con le credenziali in regola: ha gia’ nel curriculum di aver perso da vice di Romney nel 2012, e deve valutare come schierarsi nella presente campagna. Da conservatore che si distanzia da Trump, cosa buona per lui se Trump perde? O da repubblicano leale che lo appoggiato, cosa buona se Trump vincera’, ma non cosi’ buona se perdera’ ? Sono i travagli dei politici di professione, sempre sul crinale tra interessi e principi. Se e’ presto per capire se i repubblicani avranno un partito serio che sosterra’ il suo nominato a novembre, comunque, la credibilita’ dei nemici interni, o “quinte colonne di Hillary” come e’ piu’ corretto definirli , sta via via sfaldandosi. Per un verso, la “squadra” degli oppositori di Donald e’ bizzarramente composta dalle frange estreme del partito, che fino a ieri si detestavano senza riserve. Vi si trovano infatti i due ex candidati falliti portabandiera dell’ala piu’ moderata, Jeb Bush e il senatore Lindsay Graham, che pochi ricordano perche’ non ebbe nemmeno l’1% alla primaria del suo stato, la Sud Carolina: sono i due che hanno esplicitamente detto che “non voteranno Trump a novembre”, e bonta’ loro non sosterranno neppure la Clinton. Trump li ha accusati giustamente di essere “senza onore”, perche’ i due avevano firmato il giuramento prima delle primarie che avrebbero sostenuto lealmente il nominato alla Convention. Lo avevano firmato tutti, Donald compreso, che era in realta’ il motivo per cui il Comitato Nazionale Repubblicano aveva voluto la solenne firma sotto l’impegno ad accettare il verdetto del voto, ad appoggiare il vincitore, e a non presentarsi da indipendenti. I due ex presidenti Bush, padre e figlio, hanno preceduto Jeb nella scelta astensionistica, con cio’ di fatto macchiando, e non ce n’era bisogno, il nome della famiglia tra il popolo dei repubblicani. Dick Cheney, invece, e’ pro Trump. Mitt Romney, il supermoderato odiato dei conservatori, ha fatto peggio dei Bush. Mitt era stato, di fatto, tagliato fuori dalla gara dai Bush, che l’avevano “convinto” a non partecipare alle primarie per non danneggiare Jeb. Poi, pentito per aver perso l’occasione della sua rivincita mentre il GOP tradizionale, diviso e confuso, stava entrando nel panico per l’ascesa di Trump, Romney ha cercato di opporsi a Trump sostenendo Cruz e Kasich alternativamente, al fine di sottrarre delegati a Trump e arrivare alla “Convention contestata”. Nel suo delirio, forse Mitt credeva che a quel punto sarebbe stato nominato lui a furor di popolo. Fallita anche questa tattica con l’uscita di scena di Cruz e Kasich, Romney si e’ incontrato segretamente con Bill Kristol, direttore della Bibbia dei Conservatori, per capire se c’erano chance di formare un terzo partito contro il GOP. Questo “ponte” tra ultramoderati e ultraconservatori e’ la prova che non sono soltanto i “principi repubblicani” a guidare il movimento NeverTrump, ma anche umani, ma non sempre commendevoli, personalismi. Che il no a Trump si trasformi in un assist per la Clinton e’ ovviamente sempre piu’ gradito ai DEM, ma e’ anche evidente agli occhi dei repubblicani con responsabilita’ politiche. Come rispondono a questa possibilita’ nefasta? Esclusi i due “nemici” per ora giurati (Jeb e Graham), gli altri ex candidati si dividono in tre schieramenti: chi e’ sul carro di Donald da mesi; chi ha gia’ fatto buon viso dopo la sua conquista della nomina; chi deve ancora processare il lutto ma lo fara’. Tra i trumpiani della prima ora ci sono Chris Christie e Ben Carson. Tra i neo-trumpiani per lealta’ di partito si contano Bobby Jindal, governatore della Louisiana, che ha scritto addirittura un articolo in questo senso oggi sul WSJ; Marco Rubio (“Hillary sarebbe un disastro”); Jim Gilmore (“Certo, lo votero’”); Rick Perry (“Credo nel processo di selezione, e Trump e’ stato scelto. Lo votero’ e lo aiutero’ come potro’”); Kasich e Cruz (per loro parla il fatto che non abbiano escluso di fare il vice); Scott Walker (“ lo sostengo”); Mike Huckabee (sua figlia e’ persino parte dello staff di Trump). Tra chi non e’ ancora pronto ad appoggiarlo ufficialmente si trovano Rick Santorum (“ Ci sono preoccupazioni su Trump? Si’ che ci sono ma credo che siano superabili) e Carly Fiorina (aveva detto mesi fa che avrebbe appoggiato chiunque del GOP, contro la Hillary. Non lo ha ancora ribadito ora, dopo la figuraccia di essere stata scelta da Cruz come vice, ma ci si aspetta che lo faccia.). di Glauco Maggi