Un consiglio agli italiani
Louise Manzon a New York, tutte le ragioni per cui questa mostra è imperdibile
Quando mi e’ arrivato l’invito per l’inaugurazione dell’esposizione di Louise Manzon, scultrice nata in Brasile ma milanese di adozione (e di matrimonio), sono stato attratto, lo confesso, soprattutto dalla sede, la Galleria 61 al New York Institute of Technology. Che cosa puo’ collegare, mi sono chiesto, opere ispirate dalla mitologia greca, dalle profondita’ oceaniche, dalla bellezza femminile stilizzata di sirene bionde, al mondo geometrico e rigoroso della tecnologia custodito in uno dei siti dell’accademia dove si insegnano design industriale, architettura, “soluzioni”? Lo si scopre passeggiando di fianco alla teoria di “pesci” e di “regine”, “le mie regine”, le definisce cosi’ la Manzon nel tour di presentazione. Che non sono pesci e non sono regine, ma gli involucri in cui l’artista conserva e sprigiona insieme la sua aspirazione ad “andare oltre”. E “Beyond-The Project” (“Al di la’- Il Progetto”) e’ appunto il titolo della mostra che sta aperta fino al 3 giugno al 16 West della 61esima strada a due passi dal Columbus Circle (La consiglio come meta sofisticata per i turisti italiani che amano scoprire le chicche offerte dalla Grande Mela fuori dai tradizionali appuntamenti dei maggiori musei). Ma che cosa rende legittima, per tornare alla mia ricerca del nesso, la presenza delle terracotte smaltate della Manzon nell’attico all’11esimo piano del NYiT? E’ il concetto del movimento, dello slancio, che balza agli occhi osservando i lavori sul catalogo, e poi verificandoli dal vivo. E’ un’altalena che intriga. Dalla carta alla realta’ si percepisce non solo il salto dalle due alle tre dimensioni, ma anche quello dalla staticita’ (che e’ ovviamente nella realta’ fisica degli oggetti) alla proiezione, alla scoperta (che e’ il viaggio emotivo che compie la scultrice nel modellare e nel rimodellare le sue forme). E’ una sensazione che ha fatto ritrovare, allo storico e critico Alain Elkann, che ha parlato all’opening e ha firmato una recensione sul catalogo stesso, un qualcosa di “futuristico”, un richiamo a Balla o a Medardo Rosso nelle statue della Manzon. I soggetti della sua arte sgorgano dai misteri subacquei, e sono piccoli o enormi, da 20 centimetri a due metri, in una asimmetria che rispecchia quella della natura. Anzi, la devozione verso forme ittiche e femminili reinterpretate, animate, affascinanti, colorate, diventa uno sprone al rispetto della bellezza del creato, un monito alla sua conservazione. Il viaggio tra i lavori della scultrice e’ un esercizio di gusto personalissimo, ma si puo’ dire che il tratto unificante e’ l’armonia. Dovessi usare un solo aggettivo per rappresentare il filo conduttore della sua creativita’ direi “armonica”. E la costanza delle figure fa venire in mente la disciplina stilistica di un Giacometti, lo scultore “che invento’ i profili slanciati ispirandosi ai totem primitivi”, come ha notato Elkann. Le sirene della Manzon non sono “donne per meta’ pesci”, e invece che con la coda finiscono “a campana”. Per esempio, “Cymothoe, Nereide”, e’ un’imponente statua in ceramica plasmata a mano, e colorata da pigmenti naturali bluastri, verdastri, grigiastri. “Euphrosine, una delle tre Grazie”, ha lo sguardo altero verso l’alto e, dalle spalle in giu’, e’ tutta una tunica bruna, mattone. Melite, altra Nereide, ha la testa dal collo vagamente “Modigliani”, che spunta come una creazione dal blu marino. Pure i pesci hanno solo la testa, e il resto e’ fantasia, arbitrio. Come “Tasmania-Oceano Pacifico”, una testa da pesciolino rosso che trasfigura in una forma convoluta e astratta, tutta oro brillante. Manzon e’ agli esordi, e la tappa di New York e’ un tuffo coraggioso nel mercato piu’ ricco e competitivo che ci sia. L’artista naturalizzata italiana, finora, aveva esposto alla Villa Necchi di Milano nel 1914 (con la mostra Message in the Bubble) e alla Fondazione Cini a Venezia nel 1915 (Personal Structures-Crossing Borders). C’era anche il nuovo console italiano di New York Francesco Genuardi, l’11 aprile, a battezzare la mostra: la nostra arte non puo’ dormire sugli allori che inondano il Metropolitan e il Moma, ed e’ giusto incoraggiare nuovi autori a mettere il loro talento alla prova del mercato e dei critici internazionali. di Glauco Maggi