Ben Carson

Il super-colpaccio del "razzista" TrumpHa l'appoggio dell'unico candidato nero

Glauco Maggi

Altro che “razzista” Donald Trump. Con tutto il polverone che e’ stato fatto dopo che un leader del Ku Klux Klan aveva sostenuto la sua candidatura (un appoggio che peraltro il candidato in testa alla gara nel GOP ha respinto, nettamente nella sostanza anche se nel modo mediaticamente piu’ maldestro possibile), sta passando in sordina qualcosa che dovrebbe tagliare la testa alle accuse di “suprematismo bianco” che eccitano i violenti attivisti di Black Lives Matter e pro Sanders-Clinton che cercano di impedire i suoi comizi (a Chicago ci sono riusciti, e non e’ che l’inizio). Quel qualcosa e’ il numero crescente di adesioni pubbliche alla campagna di Trump di personaggi di grido che sono piu’ neri del (mezzo) nero Obama. L’ultimo caso e’ Ben Carson, uscito allo scoperto durante un comizio in Florida al fianco di Donald. Ma prima di lui altri neri famosi avevano passato il Rubicone della razza, dal celeberrimo pugile Mike Tyson (che e’ anche musulmano) ad altri sportivi egualmente famosi, almeno negli Stati Uniti, come Dennis Rodman, Shawne Merriman, Herschel Walker e Terrell Owens. Carson e’ il piu’ clamoroso perche’ era il solo candidato presidente di colore, dei due partiti, in questa tornata. La sua scelta di appoggiare Trump dovrebbe mettere a riposo l’insinuazione sul suo razzismo, ma il condizionale e’ d’obbligo. Carson e’ sempre stato una figura di rilievo nel mondo scientifico, come neurochirurgo, e per i suoi successi medici (fu il primo al mondo a separare con una operazione chirurgica due neonati – tedeschi -) e’ stato insignito in carriera di varie onorificenze: una, quella a cui lui tiene particolarmente, gli e’ arrivata dalla NAACP, che e’ l’associazione nazionale che da un secolo promuove la promozione e l’avanzamento della gente di colore in America. Aspettiamoci adesso che la sua “negritude”, il suo “essere nero” venga contestato dai liberal piu’ beceri (ma piu’ influenti sui giornali), cosi’ come furono trattati da “bianchi traditori” Colin Powell e Condi Rice per aver servito come Segretari di Stato sotto George W. Bush. L’accusa a Trump di discriminare gli afro-americani trova uno spazio ancora piu’ largo in Europa, dove il “messaggio-slogan” dell“America razzista” soddisfa le insicurezze di chi si sente sempre e comunque moralmente superiore agli yankees e scarica su di loro le turbe psicologico-politiche nel fronteggiare i “barbari” (africani, medio-orientali, est europei) di casa propria. Chi vive a New York ha esperienze di interazioni quotidiane con ogni genere di “diversity” che rendono ridicole le accuse di razzismo a Trump. Lui ci vive da 70 anni, molti dei quali con la registrazione da DEM, e sempre da imprenditore al cui libro paga sono transitati  migliaia di persone di ogni razza, dai polacchi agli ispanici, dai neri agli asiatici. Paradossalmente, la vita da datore di lavoro e’ un corso “educational” di convivenza, e quando il Donald dice che centinaia di ispanici lo amano per come li tratta dice la verita’. E se e’ anche vero che e’ stato invischiato in tante cause intentate dai dipendenti, le loro lamentele – di bianchi, neri o latinos -non erano certo per discriminazioni razziali ma per questioni contrattuali. Carson non ha dubbi sul non razzismo di Trump, che conosce bene. Cosi’ ha ricostruito la propria decisione di appoggiarlo in una intervista a The Hill, durante la quale ha spiegato che cosa lo ha convinto. “Avevo bisogno di sapere che lui era disposto ad ascoltare altra gente, che poteva cambiare qualche sua opinione, e che non credeva realmente alle cose piu’ spropositate dette nei dibattiti”, ha detto Ben, che pero’ non e’ entrato nei dettagli sulle possibili conversioni: “Dira’ lui su che cosa potra’ correggersi, non e’ corretto da parte mia riferire i particolari di una conversazione privata”. I due si sono parlati per mesi, e Carson ha raccontato che “avevamo un sacco di opinioni allineate e ho capito che ci sarebbe potuta essere una qualche associazione”. Dove portera’ l’alleanza dei due candidati meno convenzionali e piu’ anti-establishment del GOP? Alla domanda di The Hill “sarebbe disposto a fare il vice di Trump nel ticket?”, Ben ha risposto “lascio la mia porta aperta”. Cioe’ i due neofiti della politica “piu’ lontani da Washington” si sono dati appuntamento proprio li’, alla Casa Bianca in Pennsylvania Avenue. di Glauco Maggi