In-sicurezza
Il rischio di un Obama bis fa impennare le vendite di armi
di Glauco Maggi C’è almeno un comparto economico che va forte, grazie ad Obama, in questa fiacca ripresa dalla recessione: le armi e le munizioni, da caccia e per difesa personale. Le maggiori catene di commercianti di questo particolare articolo, che hanno già goduto di un boom di vendite nel 2009 appena dopo la prima elezione di Barack, si preparano febbrilmente al bis. Anzi, come ha fatto capire nella sua campagna pubblicitaria e di comunicazione la NRA (National Rifle Association, l’associazione dei produttori e degli appassionati di fucili e pistole), questa volta sarà anche meglio in termini di vendite se il presidente sarà rieletto in novembre. E il perché è ovvio: durante i prossimi 4 anni, non avrà la preoccupazione di inimicarsi la larga e potente “comunità” di amanti delle armi e di difensori del Secondo Emendamento (è quello che garantisce il diritto di portare le armi, ovviamente dopo l’ottenimento di una licenza federale e nel rispetto di altre eventuali leggi degli Stati). “Obama non subirà alcun rischio politico se vorrà mettere in atto misure più severe di limitazione”, ha ricordato il portavoce della NRA Andrew Arulanandam. Cabela’s, uno dei maggiori rivenditori nazionali con sede centrale nel Nebraska, ricordando il +25% di nuove armi vendute dopo il novembre 2008, ha preparato due scenari, come ha registrato una inchiesta del Wall Street Journal: più pistole e fucili sugli scaffali e nei magazzini se vince il democratico, più stivali e vestiario per cacciatori e pescatori se vince il repubblicano. “Se è eletto Mitt Romney e non si diffonde alcuna minaccia contro la libertà di possedere un’arma, la gente potrebbe decidere di spendere invece una parte di reddito disponibile nell’acquisto di attrezzatura per le attività all’aria aperta, giacconi e materiale impermeabile”, ha spiegato il portavoce di Cabela’s Joe Erterburn. La Smith & Wesson, nota ditta produttrice di armi, ha alzato la sua previsione di vendita per l’anno in corso da 485 milioni a 540 milioni citando la crescente domanda, +30%, della clientela. A poco servono le rassicurazioni formali che la campagna di Obama ha fatto per bocca del suo porta parola Adam Fetcher, secondo cui “i trascorsi del presidente hanno chiarito che lui sostiene e rispetta il Secondo Emendamento e la tradizione del possesso delle armi in questo paese”. E ha aggiunto che “noi continueremo a combattere contro ogni tentativo di fuorviare i votanti”. Si sa che nell’elettorato esiste una forte componente di liberal, che propugnano una politica di restrizioni e di “disarmo generale”, ma il loro voto non è a rischio perché sono tutti comunque schieratissimi con Obama. Le parole tranquillizzanti della campagna del presidente puntano quindi a non inimicarsi la larga fetta di americani pro-armi, ma si scontrano contro la diffidenza della gente che si esprime concretamente andando a comprare fucili e rivoltelle. Circa 12 milioni di controlli preventivi dell’FBI sui prossimi acquirenti, procedura di prammatica per chi ha intenzione di acquistare un’arma e lo deve annunciare in anticipo, sono stati fatti nel 2012, fino a fine agosto: è un volume del 56% superiore a quelli del 2008 nello stesso periodo. Altro dato non equivoco dell’effetto “propulsivo” di Obama è quello della raccolta delle speciali tasse federali pagate da chi compra carabine, pistole e munizioni: nel 2009 furono 453 milioni di dollari, un balzo del 45% rispetto all’anno precedente. L’incremento è molto notevole su base storica: nel periodo tra il 1993 al 2008 la media degli aumenti annui di questa tassa è stata infatti del 6%. Nel 2011 la raccolta era stata di 344 milioni, sempre superiore ai livelli pre-2008.