Complimenti per la trasmissione
Lessico famigliare, Recalcati e l'estenuato complesso del padre
Massimo Recalcati è un ottimo floricultore e psicanalista di pregio, col difetto, però di essere un lacaniano ossia un gesuita della psicanalisi. Ha affrontato lo stress dell’arrivo dei propri figli- un ostaggio dato alla sorte, come dice Bacon- nel miglior modo possibile: scrivendoci sopra un libro di successo, Il complesso di Telemaco, che l’ha eretto a maître à penser di un mondo liberal sussurrato, spesso autoreferenziale e assai adatto prima a La7 di Lerner e poi alla Raitre della Bignardi. Il fatto di vederlo assiso su uno sgabello in outfit minimalista a raccontare le figure familiari in Lessico famigliare (Raitre, lunedì terza serata) non mi ha affatto stupito. Stimo l’uomo da anni. Nonostante l’aria perennemente macerata di chi ha appena trovato una multa sul parabrezza, Recalcati possiede un eloquio potente, simile a quello di Sgarbi quando discetta d’arte. Pur non credendo nella psicanalisi (specie in Lacan, produttore di lutti inenarrabili) io ho visionato la sua puntata sul «Padre». E lì, interrotto da spezzoni di film di Moretti e Benigni (ma poteva metterci Muccino e Winkler) e da citazioni di Freud e Mccarthy (ma poteva evocare Turgenev o Giovanni Mosca) Recalcati si spingeva in una piroctenia retorica stordente. Padri evocati in tutte le salse: «Il padre Führer e il padre duce che hanno spinto i figli verso l’abisso mortale della guerra»; «il padre che è il simbolo della legge che interdice l’incesto»; «i nuovi padri sono angosciati dal fatto di non essere sufficientemente amati dai loro figli». E il marzulliano «non è il padre che spiega il senso della vita ma è quello che mostra attraverso la sua vita che la vita può avere un senso». Districandomi a fatica dall’affabulante prosa del prof, ho infine realizzato di essere, alla Lacan, un «padre evaporato». Il giorno dopo, d’istinto, ho cercato nel volto dei miei figli tracce di perdono. Ma avevo torto. Come Recalcalti. La realtà è che non esiste il papà perfetto. L’educazione dei figli non è un algoritmo, semmai è un’estenuata infilata di errori, di prove e riprove, di passi falsi su cui ritornare. E non saranno 45 dilatati minuti di apologhi recalcatiani a farmi cambiare idea. Chissà la puntata sulla madre...