Complimenti per la trasmissione
Di padre in figlia, di deja vu in deja vu
Nella vita –scusate il francesismo- ci vuole culo, ma non è detto che sia necessario nelle fiction. Soprattutto se si tratta di un deretano virile, dei glutei molto nudi e molto autoritari di Alessio Boni nei panni di tal Giovanni Franza un imprenditore edile di Padova. Il Franza è un patriarca irrispettoso che se la gode in abbondanti scene di sesso in un bordello, mentre alla moglie cornificata si rompono le acque. E questo è l’incipit. Poi metteteci anche un po’ di urla, di bimbi persi nel bosco, di diritti calpestati delle donne, di immagini lividissime d’immigrazione italica in Sudamerica; e otterrete, voilà, la prima puntata di Di padre in figlia (Raiuno, martedì prime time) . Una miniserie che in me, onestamente, non ha acceso l’entusiasmo. Sarà che la trama l’ho già ingoiata e ruminata decine di volte, Trattasi della storia d’Italia attraverso quella di una famiglia in un arco di tempo che va dal 1958 ai primi anni '80, e “attraversando i grandi cambiamenti storici che hanno portato le donne a lottare per parità e diritti civili, l’emancipazione, il divorzio, l’aborto”. Solo che qui non è come nei film di Scola (La famiglia) o nelle fiction di Marco Tullio Giordana (La meglio gioventù: qui la famiglia è veneta, di Padova, con Prato della Valle sullo sfondo con Bassano del Grappa e, soprattutto, con la grappa, anzi la “graspa” che la fa da padrona nell’annaffiare lo spirito del tempo. In più ci sono attori abbastanza in palla che forzano talora l’accento veneto fino alla parodia che ne fece Pietro Germi in Signore e signori: Boni il patriarca maschilista e nevrotico, Cristiana Capotondi la figlia ribelle che si iscrive a chimica all’università, Francesca Cavallin algida prostituta che si redime nel lavoro sartoria mentre studia “da autodidatta”, i miti greci con l’Odissea che offre –assieme alla sua strana amicizia- a Stefania Rocca nel ruolo della moglie analfabeta e rassegnata alla vita familiare. Non mancano le scene di perbenismo razzista con la prostituta attaccata dalle donne arroganti del paese, e l’inevitabile messa incinta della figlia sedicenne di turno. Buona la regia di Riccardo Milani. Ma le figure sono tagliate con l’accetta e si muovono ingessate in una sceneggiatura affogata nel deja vu. Di padre in figlia ha registrato un buon 26% di share, superando la diretta concorrente Mediaset. Ma non c’è un refolo di leggerezza a pagarlo…