Complimenti per la trasmissione

Romagnoli a RaiSport, come Hemingway all'Esselunga

Francesco Specchia

L’impressione è quella dello sterminato esercito di Serse alla conquista delle Termopili: 200 inviati tra cronisti e commentatori i quali, faticosamente partiti da Viale Mazzini, sbarcano a Rio de Janeiro e si perdono nel clangore di microfoni e telecamere. Le Olimpiadi targate Rai procedono. E scorrono nonostante l’incasinamento dei collegamenti, finora gestiti con ordine soltanto da Rainews che è riuscita nel rigoroso coordinamento dei nostri gionalisti, i guerrieri della diretta. Tra tutti i programmi olimpici sotto l’egida di RaiSport sono incappato nel Tg Olimpico di terza serata. Ossia una sorta di videobignami della giornata condotto in piedi dal timido Franco Lauro. Lauro era timido perchè aveva accanto a sè un temibile tizio in felpa nera e braccia incrociate che sembrava un giocatore di badminton appena uscito dalla doccia. Quando il conduttore, affannatissimo nel lanciare titoli e filmati di comuni eroi da podio, incrociandone lo sguardo, ha balbettato: «Buonasera direttore, vogliamo raccontare il senso di questa giornata?...», lì ho realizzato. Pur dandomi la cocciuta impressione d’aver sempre un racchettone sotto l’ascella, l’ospite di Lauro era Gabriele Romagnoli. Ossia il superdirettore di Rainews calato tra gli uomini e in spoglie mortali (Nanni Dalbecchi sul Fatto l’ha giustamente paragonato a Zeus) per commentare l’epica dei Giochi.  Romagnoli, sbuffando, ha attivato il suo vocione baritonale ad intermittenza, lasciando nella sua narrazione ampie sacche di pathos. Roba tipo: «A me piace Campriani perchè ha scritto un’autobiografia Ricordati di non aver paura, e di questi tempi...»; «questi ragazzi sono campioni bisestili, per la rivincita devono aspettare 4 anni»; «Fabio Basile ha gli atteggiamenti da vincitore del Grande Fratello»; «l’importante che non sia una storia gattopardesca dove vincono sempre gli stessi». Lauro assertiva, non so quanto convinto. Cose così. Ogni battuta di Romagnoli era un microromanzo, un richiamo ai suoi saporosi editoriali su Vanity Fair; quegli stessi editoriali che hanno convinto il mondo a fare di uno scrittore il demiurgo della macchina giornalistica sportiva più complessa d’Italia. Come mettere Hemingway all’Esselunga. Mi sovviene quel che l’immaginifico Romagnoli disse al cda Rai: «In due anni di direzione voglio lasciare il segno».  È sulla buona strada...