Il senso di Bonolis per il flop
Il senso di Paolino per il flop. Ci sono due elementi che spiazzano nell’asfaltatura d’ascolti di Bonolis strapazzato da “Un medico in famiglia”, “Report” e perfino, dai telefilm di Raidue. Il primo elemento è che Bonolis, richiesto d’un commento al suo floppone abbia dichiarato: «Giudico positivo l’obiettivo raggiunto da Il senso della vita che, in accordo con l’Azienda, vuole proporre argomenti e linguaggi nuovi rispetto all’offerta abituale di Canale 5. A chi volesse parlare di numeri aggiungo che sono eccellenti data la tipologia...». Come dire: rivendico la superiorità morale dei miei programmi, e me fotto. La qual cosa non solo spiazza, in bocca a un signore che oggi fa l’11,9% di share e solo un anno fa spernacchiava il concetto di “frammentazione degli ascolti” sventolando i picchi del 30% di Ciao Darwin, che non era esattamente Apostrophe, il programma intellettuale di Antenne 2 (nè Paolino è mai stato Bernard Pivot). E dovrebbe pure far incazzare i dirigenti di Canale 5 che magari considerano “Terra” o “Zelig” gioiellini d’indubbia qualità. Insomma, chiunque altro, ad un’affermazione del genere sarebbe stato crocifisso su un’antenna parabolica. Tra l’altro, gli stessi dirigenti Mediaset dovrebbero decidersi: o si afferma sempre che per Mediaset conta il “target commerciale” (e allora dovremmo aprire una parentesi, chessò, su “Kalispera” seguitissimo ma non dai big spender); o conta sempre l’auditel tout court, ma, in tal caso, quando si prendono tranvate nei denti, il silenzio diventa regola aurea. Il secondo elemento che spiazza è l’ostinarsi a scarrellare in prima serata un programma come “Il senso della vita” non colto ma erudito, non divulgativo ma pedante, non lieve ma gassoso che ha la pretesa di impartire allo spettatore lezioni etica e buona coscienza. Pericolosissimo. Abbiamo già dei problemi a digerire i decaloghi moraleggianti da Saviano, faremmo volentieri a meno di quelli pop di Paolino o di Odifreddi. Intendiamoci, Bonolis rimane tra i migliori animali tv. Ma non basta invitare Walter Bonatti, o il quartetto Accorsi-Pasotti-Santamaria-Favino vestiti da Beatles di Sgt. Pepper per elevare il tono e diventare Enzo Biagi. Soprattutto se sei Paolino, l’eroe di Ciao Darwin e Chi ha incastrato Peter Pan, il teorico della vaporizzazione del pensiero. Cioè lo stesso che, invitato all’Università a parlare di tv, la descrive come una cloaca omettendo che quella cloaca ha contribuito a crearla. Cioè lo stesso che riveste le più terrificanti banalità con un lessico da sinonimi e contrari (“dato evolutivo”, “antinomia”, “abbraccio lacoontico”) che divertono sì, ma sono intristiscono se ti prendi sul serio. Bonolis è bravo, per carità, ma i suoi atti non hanno mai avuto nulla di etico. Ricordiamo una sua frase, quando voleva rifare Sanremo ma aveva già firmato per Mediaset: «Ogni volta che ho cambiato azienda ho sempre portato qualcosa di nuovo…». Ora, in vita sua, non è che sia passato dalla Cbs a Channel Four a France 2; Paolino ha cambiato solo due aziende: Rai e Mediaset. E ogni volta che ha cambiato –specie negli ultimi anni- ha portato qualcosa di nuovo spesso al suo portafogli. Quando andò in Rai a presentare i leggendari pacchi, aveva già una mezza promessa a rientrare, dopo pochi mesi, a Cologno; quando era a Cologno aveva già strappato un impegnuccio per Sanremo...