Il pallone di Luciano

Troppi stranieri: così il nostro calcio non può rinascere

Era bastata la qualificazione di tre club italiani alle finali europee: l’Inter in Champions, la Roma in Europa League e la Fiorentina in Conference, per rivedere titoloni nelle prime pagine dei giornali inneggianti alla tanto agognata rinascita del calcio italiano.
Ciò nonostante noi abbiamo sempre predicato cautela, poiché ritenevamo trattarsi di fenomeno che non avesse niente a che vedere con la crescita del nostro calcio, magari dipeso più dal buon lavoro e da migliori scelte esterofile di alcune società italiane che, nello stesso tempo, stavano però esagerando nell’impiego di giocatori stranieri. In alcune squadre addirittura 10 su 11, fenomeno questo che impediva la crescita dei nostri giovani, raramente impegnati in pianta stabile. Al punto che, per spiegare le tattiche ai giocatori che scendevano in campo ci volevano più gli interpreti degli allenatori, non era importante la conoscenza dell’inno di Mameli, più importante che avessero nonni italiani. E abbiamo sempre sostenuto che di questo fenomeno a soffrirne sarebbe stata la nostra nazionale, che porta nel mondo l’immagine del nostro calcio.

Siccome poi sono spesso le sconfitte a riportare nei giusti binari i diversi modi di pensare , a rendere evidente il nostro pensiero, è arrivata la sconfitta nella Nations League ad opera della Spagna, 2-1, che ci ha incartato la palla, dandoci lezione di gioco e di giocate. E come se questo non fosse bastato , è arrivata anche la sconfitta della nostra Under 20 nella finale del Campionato del Mondo, contro l’Uruguay che mandava in campo ragazzini, già titolari di squadre della massima serie, molto più maturi dei nostri e anche più prestanti fisicamente. Ma d’altra parte se da noi, il Lecce nel settore giovanile, vince campionato Primavera con 11 stranieri in campo, viene meno la voglia di disquisire sulla valorizzazione dei giovani nostrani, mentre cresce il desiderio di dire ai nostri governanti di cambiare le regole del gioco. Ed è appunto per chiarire i diversi modi di pensare, che, arrivati a fine stagione, riteniamo sia logico porsi delle domande sul vero stato di salute del nostro calcio.

Soffermandoci a riflettere soprattutto su chilo comanda, presupposto quest’ultimo che è poi il volano di tutta l’attività nazionale. Di Gabriele Gravina, presidente Figc, si è detto ormai tutto, di questa sua grande forza, tutta spesa soprattutto ad aggrapparsi alla poltrona dove, da troppo tempo, sta seduto, nonostante gli insuccessi di quest’ultimi tempi. Addirittura si fregia del titolo di vicepresidente della Uefa. È ormai comprovato che a Gravina sia sufficiente che nessuno rievochi i tempi in cui era presidente del Castel di Sangro. Non ne sappiamo le ragioni, magari ne sa di più Luca Sgarbi, comunque a lui questo è già sufficiente per dire che il resto va tutto bene.

Ha creato la Giustizia Sportiva a sua immagine e somiglianza, con a capo il giudice Chinè che, ultimamente ha penalizzato la Juventus per le plusvalenze evocando la slealtà di questa società, senza tener conto che, se la regola venisse applicata a 360 gradi, almeno dieci delle nostre società chiuderebbero i battenti. A completare il mosaico il ministro dello Sport, Abodi, che Dante, nella sua Divina Commedia, porrebbe in Purgatorio, tra gli ignavi. Solo adesso infatti, dopo aver permesso a Chinè e compagni di togliere, ridare e ancora togliere punti alla Juve durante il campionato, ha detto che le penalizzazioni saranno date solo a fine torneo. Meglio tardi che mai. Concludendo, da una attenta riflessioni sugli accadimenti e per il bene del nostro calcio, sarebbe indubbiamente opportuno valorizzare di più i nostri giovani, ma anche far sloggiare tante persone da quartieri alti di via Allegri, in Roma.