Trionfi
Euro 2020, ecco perché l'Italia ha vinto: svelato il segreto azzurro
Sono ormai alle spalle i festeggiamenti per la vittoria della nostra nazionale nel campionato europeo. Restano i bei ricordi, come i giocatori in giro per Roma sul pullman scoperto osannati dai tifosi, celebrati da Mattarella e Draghi. Una grande vittoria che sul momento ci ha fatto dimenticare anche i disagi della pandemia. Siamo d'altra parte un popolo che sa soffrire ma anche esaltarsi, siamo nati con il pallone tra i piedi per cui una vittoria esaltante come quella di Wembley, contro un popolo sprezzante come si è rivelato quello inglese dopo la sconfitta, non poteva che entusiasmarci. Ci sembra quindi giusto esaltare il comportamento dei nostri durante l'intero torneo e la finale di Londra ne è stata la dimostrazione.
A Wembley l'Italia di Mancini ha vinto da squadra sapendo anche sopperire ad alcune lacune strutturali e lo ha fatto con il senso di appartenza di un collettivo che aveva l'obbligo di stupire pur nel rispetto dei ruoli, alla stregua di un esercito intento ad assecondare le strategie del suo generale. E siccome, al di là della qualità dei singoli, il calcio resta un gioco di squadra in cui le componenti che formano il team devono condividere gli obiettivi comuni, riconoscere la leadership dell'allenatore, con il rispetto del ruolo assegnato a ciascun componente, quando questo accade una buona squadra può trasformarsi in squadra vincente: è la caratteristica che ha reso protagonista la nostra Nazionale. E per questo non possiamo che elogiare Mancini che ha saputo addentrarsi in un mondo sommerso dalle tante delusioni pregresse, per aver saputo fare insieme il selezionatore, l'allenatore, il preparatore e non ultimo lo psicologo di un gruppo giovane che aveva bisogno di essere stimolato da qualcuno in cui potesse credere: è successo tutto con il nostro ct, il vero fuoriclasse della compagnia.
E in un Paese come il nostro, dove siamo spesso inclini ad essere supercritici e anche poco nazionalisti, dobbiamo prendere atto come Euro2020 abbia evidenziato l'eccellenza della scuola allenatori italiana. La dimostrazione ce l'ha fornita proprio la finale di Londra dove Mancini ha messo ko il collega inglese Gareth Southgate con la mossa a sorpresa di Cristante al posto di Barella e con l'inserimento di Berardi in avanti, aggiungendo forza fisica al centrocampo e imprevedibilità al gioco d'attacco, dove si aggiungeva Cristante come quarta punta senza dare riferimenti agli avversari. È così che dopo un primo tempo incolore nel secondo i nostri sono stati eccellenti come ritmo e qualità. Di contro, Southgate commetteva l'errore di mettere sulle spalle di un ragazzo di 19 anni, Saka, il peso di cambiare la storia calcistica degli ultimi 55 anni di una nazione facendogli calciare l'ultimo rigore.
Sarà stato anche affidabile per i precedenti (lo ha detto alla fine Southgate), ma le fredde cifre avrebbero dovuto essere contestualizzate in una sfera molto più complessa quale è la psicologia di un uomo e in questo caso di un ragazzo di 19 anni. Immaginate quanti e quali pensieri abbiano attraversato il cervello del povero Saka nel percorrere quei 40 metri, che lo portavano sul dischetto, davanti a 60 mila inglesi straconvinti di vincere. Per cui ci piace concludere che, pur essendo stato inventato in Inghilterra, il mestiere dell'allenatore di calcio si basa (per nostra fortuna in questo caso) oltre che sulla conoscenza scientifica anche sulla capacità di saper entrare nella testa e nell'animo dei calciatori (c'è riuscito Mancini) e questa che è un'arte fa la differenza tra un grande allenatore e uno qualunque: motivo che ha permesso all'Italia di fregiarsi del titolo di Campione d'Europa.