A cento anni dalla nascita

Mike Bongiorno in mostra, il coraggio della normalità

Francesco Specchia

Chi era davvero Micheal “Mickey” Nicholas Salvatore Bongiorno (a cui Palazzo Reale a Milano dedica una grande mostra, Mike Bongiorno 1924-2024, catalogo SilvanaEditoriale), prima di diventare Mike Bongiorno?
Un cronista sportivo de La Stampa che girava in bici durante il coprifuoco, nella Torino del 1943, in pieno conflitto?
Una staffetta partigiana che basculava tra le montagne dell’Ossola, la Svizzera e la Val di Susa? Il prigioniero “2264” salvato da un passaporto americano e messo in isolamento 64 giorni a San Vittore in compagnia di Indro  Montanelli, e poi nei campi di concentramento in Alto Adige e Carinzia dove «si moriva, faceva un freddo cane e usavamo i giornali come coperte»? Oppure era il galeotto che una suora gentile faceva abbracciare, di nascosto, alla madre disperata, negli anfratti del “braccio della morte” di un carcere attraversato dai passi delle Gestapo? O era la “voice of America” che gracchiava alla radio, dopo la liberazione, il racconto tutte le sue vite già consumate a 25 anni; e di quelle di tutti gli italoamericani che erano sopravvissuti alla guerra? Era tutto questo, il giovane Mickey.
L’INVENTORE DELLA TV E molto altro: era, soprattutto, un eroe inconsapevole col tratto dell’uomo comune la cui leggenda moderna ne aveva inghiottito la storia antica.
Sicché è un bene che oggi si apra la mostra (fino al 17 novembre), in cui le vicende della nazione –divorata dalla guerra e resuscitata dal boom- si mescolano irrimediabilmente a quella dell’uomo che inventò la televisione italiana. Com’è ovvio, l’inaugurazione della mostra si gonfia di ringraziamenti e comunicazioni ufficiali: il figlio Nicolò dice «è un’occasione per celebrare la vita di mio padre nel centenario della sua nascita, 1924. Un percorso di vita straordinario, per sessant’anni nelle case degli italiani da Nord a Sud e che lo vede ancora oggi molto amato»; Pier Silvio Berlusconi –cresciuto per un po’ nella sua ombra professionale- afferma che «non è stato solo un innovatore, ma un pilastro della storia televisiva e un pioniere della tv commerciale. Con i suoi quiz ha aperto mondi di conoscenze all’epoca ignoti ai più»; il sindaco di Milano Beppe Sala aggiunge che «è stato un punto di riferimento durante la rinascita dell’Italia dopo la tragedia del nazifascismo, contro il quale si era battuto fino al punto di rischiare la fucilazione, interpretandone i cambiamenti arrivati con la società di massa e il benessere diffuso». E sta bene. Essendo Mike un feticcio nazionalpopolare, ognuno ne ha il ricordo che si merita.
Ma è ben più importante chele nuove generazioni conoscano il Mike inedito padre della patria. La mostra è il grimaldello del nostro glorioso passato. Si apre sulla foto di un Mike giovane, nell’abitacolo di una Spider, col sorriso e lo sguardo ceruleo che sfoderava a quei tempi, da protagonista dei fotoromanzi su Annabella e Bolero (meraviglioso Addio zio Mike in cui era beniamino di un bimbo conteso tra i genitori). Passa alla storia della sua famiglia: il nonno ciabattino siculo; il padre Philip noto avvocato newyorkese capitano dell’esercito Usa, e la madre Enrica Carello, rampolla delle buona borghesia torinese; la nascita e l’adolescenza in America, le scuole superiori a Torino; la guerra che spacca la famiglia, dove ogni membro è convinto della morte dell’altro.
La mostra inizia dalla famiglia, appunto, e si espande in mille rivoli. Grande impatto all’interno dell’esposizione hanno le ricostruzioni scenografiche che contestualizzano momenti focali della carriera di Mike ma anche della nostra società: uno studio radiofonico americano anni 40, la sala tv di un bar anni Cinquanta, luogo che ospitava tantissimi appassionati dei programmi del momento, la cabina rossa e bianca di Rischiatutto (deliziosa), dove è possibile diventare il concorrente o il presentatore e la ruota di La ruota della fortuna, riprodotta in scala per l’occasione.
Filo conduttore del percorso sono i filmati biografici, nei quali, attraverso le parole del presentatore, si ripercorre la sua avventura umana che accompagna quella degl’italiani dagli anni 20 ai giorni nostri.
C’è pure Mike, incastrato nel salotto, che si lascia sopraffare dalla commozione, ricordando i suoi viaggi transoceanici: «Sul ponte della nave c’era un orchestrina che eseguiva la musica di Glen Miller, un pezzo molto famoso Moonlight Serenade, un motivo che mi ha seguito per tutta la vita».
TRA RAI E MEDIASET Ampio spazio viene dato ai filmati di repertorio di Rai e Mediaset che hanno collaborato attivamente al progetto. Vengono raccontate le sue grandi passioni, soprattutto lo sport e la montagna; e le pubblicità telefoniche con Fiorello negli anni 90, in cui Mike si adatta nei travestimenti più assurdi, da figlio dei fiori a Garibaldi. Si scoprono le sue interviste -mai viste- alla gente comune, e a giganti come Sergio Leone, o le proposte di girare capolavori del nostro cinema (C’eravamo tanto amati di Scola).
Emergono le citazioni Rai e Mediaset per le quali il re del quiz divenne “ponte fra due mondi”, come spiega Armando Fumagalli. «Mike Bongiorno convince dunque il pubblico, con un esempio vivente e trionfante, del valore della mediocrità. Non provoca complessi di inferiorità pur offrendosi come idolo, e il pubblico lo ripaga, grato, amandolo», scriveva Umberto Eco nella sua arcinota Fenomenologia di Mike Bongiorno, del’61. Pensava, Eco, di affossare, attraverso lo sfottò intellettuale il mito nascente di Mike; finì per alimentarne la leggenda. Il finale della mostra vibra sui pizzini che i milioni di fans hanno lasciato a imperitura memoria. E sul ricordo del suo funerale sold out a Milano, in Duomo, nel 2009.
Ora e per sempre, il coraggio della normalità...