Reunion
Michele Santoro e i paci-finti con chi ce l'hanno davvero?
«Un pacifista è uno che nutre il coccodrillo sperando che lo mangi per ultimo».
L’altro giorno, al teatro Ghione di Roma, sfilava l’assalto di Michele Santoro con il vecchio reggimento di compagni senza patria politica e televisiva, a baionetta sguainata. E mi tornava in mente la vecchia frase di Churchill; solo che ancora, in quel momento, non capivo quale, tra quei pacifisti illustri, il coccodrillo Putin si sarebbe ingoiato per ultimo.
Forse i veteromarxisti Nichi Vendola, Arturo Scotto e Luciana Castellina fondatrice del Manifesto, strappati alle nebbie della storia? Forse gli artisti Fiorella Mannoia e Elio Germano che cantano Il disertore di Boris Vian e citano la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo? Forse Sabina Guzzanti che si rimette l’elmetto di Raiot anche se, da questa parte, non c’è più nulla da combattere? Oppure l’ologramma di Carlo Freccero il quale, da remoto, esala psichedelia e complotti del «pensiero unico», facendo scivolare gli astanti in un sonno lisergico? O forse la retorica filoputinana avrebbe, alla fine, divorato Vauro, e il professore Tomaso Montanari, entrambi ossessionati da immaginari nazisti dell’Illinois? Oppure Moni Ovadia mentre ti cita la giornalista Lara Logan, la no- vaxissima che un tempo simpaticamente equiparò il dottor Anthony Fauci al dottor Joseph Mengele.
Certo, il coccodrillo Putin non si papperà chi in quel contesto, alla pace ci credeva veramente oltre l’ideologia. Ospiti da leggio come il direttore di Avvenire Marco Tarquinio il più cattolicamente commuovente («La guerra è una roba da grandi, la pace una cosa da piccoli…») o la filosofa Donatella Di Cesare, o Massimo Giletti, il quale in quel contesto c’entrava come i cavoli a merenda, e infatti tiene a dire di essere passato di lì solo per salutare. Ma erano in pochi. Erano in pochi a pensare che quest’adunata santoriana non fosse stata soltanto un amarcord di combattenti e reduci da talk show, di militanti ululanti al cielo il loro “no” alla guerra e la loro voglia di pace. Come se ci fosse, contrapposta, una voglia di guerra. Suvvia.
Come se davvero esistesse qualcuno che ripudia la pace e invoca la morte e la devastazione dei popoli. Trovatene uno. Trovate il mostro guerrafondaio, ché lo mandiamo in prima serata, accanto a Michele, prima di Giletti, dopo Formigli e tra gli spot di Rete4. Come già in parte accade, peraltro.
Perché davvero, uno qui si chiede: chi è il bersaglio di questo rendez-vous anarcoide, di questa sorta di Quarto Stato santoriano denominato Pace proibita mandato in onda su Byoblu il sito complottardo, riduzionista se non negazionista di Covid e vaccini. Ci sarà un motivo se questo spettacolo è stato inutilmente offerto –gratis- alle telecamere di Rai, La7 e Sky. Contro chi combatte, Michele? Stavolta non esiste alcun “editto bulgaro” contro cui giustamente ribellarsi. Ovvio, c’è lo show, l’allestimento drammaturgico di Santoro immerso in tutto quel nero apocalittico. Spicca l’idea autorale dell’ “Armicene”, ovvero «l’epoca in cui le armi divengono padrone del nostro destino e prendono il potere sul genere umano», come la racconta lo street artist Sirante mentre nel teatro risuona uno dei brani della colonna sonora di Eyes Wide Shut. E strappa applausi il monologo di Ascanio Celestini su un piccolo paese che sia autodistrugge per costruire un muro che lo separi dallo straniero. E toccano il cuore e il portafogli gl’interventi del giornalista Gianni Dragoni sulla crisi alimentare o di Sara Diena sugli effetti della guerra sul cambiamento climatico. Non si può non essere d’accordo con temi umanamente trasversali. Banale ricordarlo. E allora perché Michele lo fa? Perché il nostro tribuno urla sempre il proprio dissenso contro un «pensiero unico» che, appunto, oggettivamente, scanalando tra le reti, non esiste (in ogni programma oramai c’è sempre un delirante filorusso, giornalista, politico, semplice aficionado, pronto a negare la realtà con annesso conduttore fintamente indignato)?
Mentre me lo chiedo sento Michele parlare di «colpe dell’Occidente», con la stessa foga con cui l’ospite Freccero e i membri della Commissione Dubbio e precauzione di Agamben e Mattei proiettano complotti che trasformano spenti No Vax in putiniani energizzati. Michele fatica a discutere sull’invasione russa, sulle fosse comuni, sulle sevizie, violenze, torture –documentate- a donne e bambini ucraini; preferisce sottolineare le responsabilità degli Stati Uniti e del filoimperialismo amerikano, giusto per alimentare, la sua personale, sontuosa narrazione. E questo, onestamente, fa male ai pacifisti perbene.
E un po’ tradisce la causa di chi, in assoluta buona fede, è salito su quel palco ignaro di partecipare a una rappresentazione antiatlantica inchiodata alle chitarre in sottofondo, come diceva Jim Morrison ai tempi del Vietnam. È, alla fine, sempre un problema identitario. Per non sfuggire allo schema Santoro evoca persino di «una carneficina» perché l’esercito russo conta 120mila soldati in Ucraina, mentre gli ucraini «sono oltre 300mila». Come se gli invasori fossero quelli di Kiev e le carneficine non le facessero i russi. Mi rendo conto che siano solo dettagli del racconto. Ma su questa scia, tra poco, ci si può aspettare una sottoscrizione a favore non delle famiglie ucraine massacrate, ma dei poveri anchormen russi che si divertono a mandare in onda le simulazioni dei lanci dei missili nucleari su Parigi. E, a quel punto, sì, il coccodrillo si mangerà per ultimo Santoro. Non conterei troppo sulle lacrime in fase digestiva….