Ritratto

Vito Petrocelli, lo strano caso del geologo amico del nemico di palazzo Madama

Francesco Specchia

Il senatore pentastellato Vito Petrocelli – eterna grisaglia che si confonde con l’ambiente, mai un sorriso, faccia triste da italiano in gita tra le brume di Leningrado- , di professione vera, sarebbe geologo. Risulta dunque avvezzo alla seduzione del sisma.

lo si è visto nei principali Tg, a Rai Parlamento, nei talk show di approfondimento (comparve per la prima volta a La7  in un'intervista stradale di Ivo Mej mi pare a Coffee Break) a Per lui i terremoti istituzionali, i lapilli ideologici e le eruzioni sintattiche fanno parte del carattere. E sarà per questo che Vito, nel mezzo del massacro della guerra d’Ucraina, oggi risulta l’unico parlamentare della maggioranza ad essere fieramente “contro”. “Contro” tutto. “Contro l’invio di armi” a Kiev, contro l’assurdo accanimento verso quel galantuomo di Putin, contro il suo stesso leader Conte che presterebbe la pochette all’abito propagandistico dell’Occidente. Vito, per capirci, è quello che ammoniva via Twitter, soltanto il 21 febbraio scorso, “Vi ricordiamo che la Russia non ha mai attaccato nessuno nel corso della sua storia. E la Russia, sopravvissuta a tante guerre, è l'ultimo Paese in Europa che vuole parlare, anche pronunciare la parola guerra…”. E, infatti, s’è visto. Vito è quello che, tenacemente, definiva il dissidente Aleksej Navalnj chiuso da Putin nelle patrie galere senza un perché, “un blogger del piffero”. Vito colui il quale tentava di convincere i colleghi del Movimento a Bruxelles a non votare la risoluzione contro le repressioni cinesi a Hong Kong.

Sì, è questa la fascinosa antropologia che lo contraddistingue: Vito non è solo filorusso, è filorusso, filocinese e atlantista al tempo stesso in un funambolico esercizio di torsione geopolitica. E se gli fai notare la contraddizione sul suo fondamentale pensiero (“A differenza di altri non devo ogni volta ribadire la mia fede filoatlantica, ma penso che proprio all’interno del campo occidentale l'Italia debba essere il miglior riferimento per Russia, Cina e Iran"), be’, lui ti risponde citando il paradosso della Fiat che, insomma, costruì uno stabilimento a Togliattigrad e nessuno ebbe a che dire. Ci sarà un motivo, se le cronache parlamentari lo ricordano come il primo capogruppo delle storia espulso da un’aula parlamentare, l’8 ottobre 2014, nel corso della dura contestazione a Ministro del Lavoro Poletti in merito al Jobs Act. Come punizione, l’hanno promosso.

Ora, nel nome della libertà d’espressione, sarebbe anche tollerabile, questa sua paradisiaca visione del comunismo; se non fosse che Petrocelli è, accidentalmente, anche il Presidente della Commissione Esteri del Senato. Quindi teoricamente oggi abbiamo come “numero tre dei Cinque Stelle in politica estera” -dopo il ministro Di Maio e il sottosegretario Di Stefano- un fan accanito di Vlad Putin, mentre il resto del mondo gli rema contro. Certo, uno dice, le idee del senatore, in fondo, sono note a tutti. Petrocelli, classe 64’, lucano e pugliese al tempo stesso, sposato con due figli, eletto al ballottaggio battendo la collega di partito la “liberal” Nunzia Catalfo, viene dalla militanza nei Carc. Ossia del partito maoista e marxista-leninista tra i più oltranzisti della microgalassia comunista italiana e che a sorpresa nel 2013, come organizzazione, appoggiò i 5 Stelle. E sin dalla sua entrata in Parlamento –dopo viaggi in Russia e gli indimenticati pranzi all’ambasciata moscovita- l’uomo ha sempre agevolato il “soccorso rosso”, le ratifiche di norme vicino agli interessi sia cinesi che russi. In pratica, Petrocelli è una sorta di ibrido tra Il Peppone di Guareschi, l’Armando Cossutta della Rifondazione Comunista dura e pura e il Mario Capanna barricadero del ’68. Compagni dei campi e della officine.

Tra l’altro, nel suo amore incondizionato per Xi Jingping, Petrocelli è pure un tantino negazionista. Per esempio ritenne “assurda” la previsione del direttore di Repubblica Maurizio Molinari sull’invasione putiniana. Per esempio, sul genocidio culturale della minoranza uigura in Cina, dichiarò: “"No, non credo che si possa parlare di genocidio, come non credo che vengano sterilizzate milioni di donne. Non c'è alcuna pulizia etnica. Mi piacerebbe portare una delegazione parlamentare nello Xinjiang, di modo che ciascuno possa giudicare con i propri occhi". Vito ha una passione per la Via della Seta, la Vodka, gli oligarchi e gli involtini Primavera, ma maldigerisce il suo incarico istituzionale; al punto da invocare la “libertà di coscienza” sul voto per l’invio di armi in Ucraina, e da votare contro. Ora, pur trovandone vergognosa la condotta in aula, il suo ministro Di Maio, non può tecnicamente rimuoverlo; né il suo Presidente Conte, a causa del vuoto statutario del Movimento, può sanzionarlo. Tra l'altro, ora Vito popone una gemellaggio tra la Commissione Esteri russa e la nostra; il che sarebbe una follia, se Vito non avesse proposto lo stesso giochino con l'Iran (dove era andato in visita ufficiale pagato da noi, ovviamente da solo). Insomma, dopo tutto questo, che l'uomo sia ancora lì è una cosa che spiazza

E lui, ovviamente non ha la minima intenzione di sbullonarsi dallo scranno. Il geologo Petrucelli è uno studioso delle faglie; la sua, oramai, è grande come la pazienza dei suoi elettori…