E il Donbass?
Ucraina, una strana guerra senza immagini in tv: dove arriva il potere di Vladimir Putin
C’è uno strano paradosso che, a livello mediatico, sta avvolgendo la crisi ucraina.
Televisivamente è più una guerra con preminanza di “tempo di parola” che di “tempo di notizia”. Cioè: non si vedono, curiosamente, le orde dei carrarmati che invadono il Donbass, le recinzioni sfondate, le sette esplosioni annunciate, i morti e feriti accatastati al confine della Russia. Si vedono soltanto, almeno per ora, i cronisti affannati nei telegiornali che le raccontano. E le raccontano soprattutto di seconda mano, attraverso i comunicati centellinati delle agenzie stampa russe o ucraine o internazionali. Per dire. Secondo l'agenzia di stampa russa Interfax la Russia sta usando «armi di alta precisione per distruggere infrastrutture militari ucraine». Secondo quanto riportato dalla Reuters sarebbero almeno 7 i morti già verificati, ma il ministero dell’Interno ucraino parla di «centinaia di vittime», di 96 colpo di xannone.
E, al momento, non è chiaro se l’aeroporto internazionale di Kiev sia sotto il controllo ucraino o russo, dopo che fonti dell’intelligence Usa hanno affermato che era in corso un attacco. Tra le 4 e le 5 di della notte dell'altroieri si è avuto notizia dell’ingresso delle truppe russe nel territorio dalle «tre direttrici già specificate», senza capire quali fossero. Eppoi ecco la sarabanda degli annunci: l’Ucraina tambureggia di aver abbattuto un caccia russo, mentre Mosca dichiara che le difese anti-aeree ucraine sono già state del tutto «soppresse» dall’attacco russo. Le notizie sono sfocate e non verificate, i territori sono talmente vasti da non consentire ai cronisti -pur giunti in massa- grandi margini di manovra; la blindatura militare fa il resto. Non si può neanche tentare il racconto da embedded, da affiliati agli eserciti, perché le truppe non accolgono nessuno: sono essenze spettrali che combattono una guerra su altra dimensione spaziotemporale. Insomma: ci raccontano l’inizio dell’apocalisse, ma non ci sono immagini fresche a descriverla. I semiologi la chiamano “guerra diversiva”.
È cominciata sull’esagerato numero di apparizioni televisive di Putin che, con la saldezza di un cosacco, giustificava l’invasione russa con idiritti territoriali della “Grande madre Russia”; prosegue sulle dichiarazioni di Biden la cui Cia aveva previsto tutto, e sui leader Ue e sugli imbarazzi partigiani della Cina. Ma le immagini, appunto non arrivano. O meglio, arrivano.
Ma sono spesso quelle sbagliate. Chi s’informa dai social vede spararsi addosso video e foto che in realtà appartengono spesso al passato conflitto del 2014. Il fact-checking per il riscontro delle fake news lavora, in queste ore, in modo ossessivo. Ci fossero stati gli americani avremmo perfino i reality show dal fronte. È una guerra curiosamente ibrida: metà realtà, metà suggestioni...[