Telebestiario

Quelle bizzarre accuse dei gay al geniale Dave Chappelle

Francesco Specchia

Sarà che sto rileggendo la riedizione della sfolgorante autobiografia di Lenny Bruce,Come parlare sporco e influenzare la gente”, Bompiani. Sarà che, sfinito dalle melanconia di Made in Sud et similia, mi sto sempre più affezionando ai monologhi di Saverio Raimondo o Francesco De Carlo in Inghilterra, e non so quanto ciò sia un bene.

Ma, insomma, il fatto che sia sempre più di moda lo stand up comedian all’americana, mi rassicura molto sul dove stia andando la comicità di pregio. E quando parlo di monologhisti all'americana intendo proprio gli sboccati di talento che macinano spettacoli tra la Costa ovest e la Grande Mela, quelli che i cui show dal vivo Netflix ora propone in tutte le salse con la formula “uno speciale comico originale” da gustarsi preferibilmente coi sottotitoli per non perdersi la mitragliata di battute dall'inglese. Di costoro il mio favorito è Dave Chappelle. Nero, ricco, cresciuto alla scuola di Richard Pryor, Dave in Equanimity aveva massacrato il politicamente corretto sui matrimoni interrazziali - proprio lui che ha sposato una filippina- dando della zoccola a una ricca cinese in prima fila offesa dalla sua sigaretta elettronica. Dopodiché, aveva attaccato in eguale misura Hilary Clinton (“è  come guardare Darth Vader che recita I Have a Dream”) e Trump (“Gli sudano le labbra,  com’è possibile?”), i bianchi poveri e i neri delle periferie  (“quando abbiamo votato Obama eravamo così felici, ci abbracciavamo e intonavamo inni sacri”), condendo il tutto con un florilegio di parolacce che Luttazzi, al confronto,  sembrava il Priore di Bose.

Ora Chappelle, nel suo nuovo show in onda sempre su Netflix, The Closer si è prodotto in un’invettiva sulla “gerarchia delle minoranze” che ha sbriciolato il muro del politicamente corretto che la comunità Lgbt americana aveva pazientemente eretto in tutti questi anni. Affermando, di fatto, che la lobby gay è molto più efficace di quella nera, in quanto a penetrazione sociale e diritti civili, si è inimicato la parte più liberal del suo pubblico.  Bene. L’hanno accusato di transfobia e incitamento all’odio. Roba da legge Zan, sostenuta dalla parte più feroce dei liberal statunitensi. Il Gruppo risorse Dipendenti Trans di Netflix (sì, esiste ...) ne ha perfino richiesto la testa, o perlomeno le scuse formali. Che è un po’ come se da noi chiedessero a Checco Zalone di organizzare un incontro di wrestling con Cristiano Malgioglio. Chappelle, ovviamente, s’è fatto una crassa risata. Con la sua faccia di pongo, la sua parlata urticante da eroe di Quentin Tarantino resta in testa alle classifiche. The Closer rimane un rombo di tuono. E nessuno osa “toccare” il suo prossimo documentario Unntitled. Ma resta anche la furia sempre più censoria di una minoranza che, assolutamente priva di senso dell’ironia, si organizza per sbianchettare i palinsesti. E la parola “bianco”, in mezzo a tutta questa scostumatezza black, ci sta perfettamente...