Telebestiario

Cecilia Sala in Afghanistan, una bella storia di giornalismo tonante

Francesco Specchia

Cecilia Sala ha un ovale bellissimo - da quadro di Vermeer- quanto il suo cervello; è incorniciato da un’espressione fintamente intimorita e da un foulard che solo in parte la mette al riparo dagli sguardi talebani.

Romana di nascita, milanese d’adozione e d’estrazione bocconiana,  cosmopolita d’ispirazione, Sala, a 26 anni, è la giornalista italiana che penetrando a Kabul, nel ventre dell’estremismo islamico, oggi fornisce alla nuove generazioni un’idea rigorosa della cronaca. Una felice eccezione nel mondo del “giornalismo reticolare” –come lo chiamava Charles Beckett- cioè quello che mette sullo stesso piano reportage approfonditissimi e frescacce innominabili. Sala è quella che, in collegamento con Omnibus, su La7, viene bombardata direttamente nel bagno del suo hotel e educatamente sussurra “scusate devo andare via…”. Sala sembra quasi che ami transitare sulla linea di fuoco degli studenti coranici contro le manifestazioni pro-Punshir. Sala è colei che non esita ad infilarsi nelle auto zeppe di fanatici per testimoniare con telecamera la furia delle donne afghane private della libertà e il marketing della Sharia ( “i talebani vogliono mostrare che il paese è sicuro ma ci saranno manifestazioni per Massoud e per ricordare l'11 settembre”). Sala è la freelance che, a proprie spese e senza copertura legale, s’infila nelle trincee di sangue e merda ideologica di quei territori disgraziati e da lì verga preziose corrispondenze per Wired, Vanity Fair, L’Espresso, il Foglio. Cecilia Sala è talmente bella che, a volte, l’attenzione dello spettatore si ferma sul nitore del viso e sul riverbero dello sguardo; anche se poi, di lei, prevale sempre il labiale che ti racconta di uno sgozzamento pubblico, del volo zoppo di una granata o di una raffica di mitra dal costone davanti. Cecilia Sala sta al fibrillare dei social –che usa con schiettezza acuminata – come Christiane Amanpour stava ai grandi reportage della Cnn in queste stesse terre.

Cecilia Sala ha l’età italiana di un fuoricorso medio, ma è skillata come una professionista di vecchio pelo. E’ stata estratta dal pubblico di Servizio Pubblico di Michele Santoro (assieme a Elettra Lamborghini, ma non è esattamente un vanto); è passata dalle inchieste di Corrado Formigli; si è messa in mostra per il podcast più ascoltato d’Italia, Polvere, sul caso Marta Russo diventato libro. Cecilia Sala ha gusti raffinatissimi: i suoi modelli di giornalismo ci sono Garcia Marquez, Evelyn Waugh, Robert Capa. E, ovviamente Oriana Fallaci. A vederla in quel rigore, in quello splendore professionale, mi viene da pensare ai suoi coetanei italiani, uccisi nel futuro da quota 100 e narcotizzati nel presente dal reddito di cittadinanza. Osservandola, per un momento, mi viene voglia di dire ai miei figli di scegliere il mestiere del padre, dato che c’è qualcuno che è ancora capace di farlo. E’ una voglia, però, che dura l’attimo di un collegamento da Teheran…