TELEBESTIARIO
Chiami il mio agente! Se le star francesi si prendono in giro (le nostre, meno)
Vive la France (almeno nelle serie tv)! C’è Monica Bellucci che, mentre alterna espressioni italiane - “Ommadonna!”- ad un francese sensualissimo, non può stare senza sesso per più di tre settimane e si getta alla caccia ormonale di “un uomo delle strada”, in una vasta gamma che varia dal contabile al bibliotecario. C’è Isabelle Huppert bulimica di lavoro che “non sa dire di no” e viola contratti con multinazionali americane girando, nottetempo, per giovani registi francesi. C’è Jean Dujardin, ossessionato del “metodo Stanislawski” a tal punto da entrare nel suo personaggio da film d’essai di uomo delle foreste che si costringe a vivere, lercio e barbuto, in una capanna in giardino per la disperazione di moglie e figlia. Ma non sono i soli.
Nella serie-fenomeno di Netlix Chiami il mio agente! (Dix pour Cen) transita tutta un’umanità di animelle fragili e famose, un’allegra masnada di divi del cinema – i più ricercati dello star system francese- che si sfottono, amplificano i propri capricci e idiosincrasie, si mostrano ironicamente feroci verso se stessi. E rendono, così, l’ultima stagione della serie quella più applaudita dal pubblico, la più autoironica e la più idonea per la prossima versione americana del racconto già venduto in 60 paesi. E il racconto, molto commedia francese, parte da un’agenzia di agenti dello spettacolo, la Ask, che vede morire all’improvviso il proprio fondatore. E i cui membri, per non chiudere, sono costretti ad accettare un capo tamarro, miliardario grazie alla vendita del suo sito d’incontri; e ad arrovellarsi in mille trucchetti per trattenere dall’esodo le grandi star a cui hanno scelto di cedere ogni giorno il 10% delle loro vite in cambio del 10% dei guadagni. Ogni agente è un pezzo di mondo. Andréa è una lesbica fascinosa, dal naso importante, sessualmente promiscua che s’innamora della sua ispettrice fiscale ma poi ha una figlia dal suo capo maschio; Mathias è il manager senza scrupoli che tradisce la moglie con la segretaria e non riconosce la figlia Camille, la quale, in fuga dalla Costa Azzurra, riesce a farsi assumere in agenzia; Gabriel è un tenerone che s’innamora della centralinista spinta a recitare nuda in un film pallosissimo da premio Cesar; Arlette è la vecchia saggia matrona alle soglie della pensione che ha dato al cane il nome di JeanGabin; Hervè è l’immancabile gay stordito e geniale a beneficio delle minoranze. Ognuno di loro si scontra, ad ogni puntata, col divo di turno, e col lato oscuro del cinema. Si entra a piedi uniti nel tema dell’adulterio, dell’omosessualità e dei reati fiscali; si sfiora quello dell’incesto; si accarezza quello della disoccupazione giovanile e del luccichio dello showbizì, francese o internazionale, fatto di squali e divi che recitano nei panni di se stessi. Chiami il mio agente! è una sorta di Boris parigino, da cui si estrae la grandezza del cinema e la pochezza degli attori. Anche se c’è qualcosa di maestoso in Juliette Binoche che arriva scalcagnata e mezza ubriaca sul palco di Cannes improvvisando un discorso sulla parità dei sessi; o in Cecile De France che piuttosto che riempirsi di botulino rinuncia al ruolo di protagonista in un film di Tarantino; o in Jean Reno tutto teso al ritiro o Isabelle Adjani spacciatasi per una 28enne per ottenere una parte nel film di un cineasta trentenne. Ingollando la serie assieme a derrate di pop corn il pensiero corre alle atmosfere patinate del grande divismo italiano anni 60 (nel cast di una possibile riduzione italiana non sfigurerebbe, oggi Enrico Lucherini, l’Abramo dei nostri press agent). Ma se dovessimo adattarla ai capricci di talune nostre starlette attuali, ci sarebbe da lavorare…