Rowan Atkison non vedeva l'ora di finirla
Mr. Bean in pensione per il peso degli anni (e quello del ridicolo)
Ce l’ha fatta, alla fine. Non è riuscito ad azzopparlo nel 2008, a cancellarlo nel 2012, a farlo fuori nel 2015; ma, ora, nel 2021, dopo trent’anni di disonorato servizio, Rowan Atkinson ha mandato in pensione la sua creatura Mr. Bean.
Mr. Bean è crollato sotto il peso degli anni, s’è inesorabilmente schiantato contro quota 100. «E' diventato stressante continuare a vestirne i panni sulla scena» ha confessato a Radio Times l’attore 65enne, che continuerà in ogni caso a dare voce al personaggio dell'omonimo cartone animato «è più facile interpretare Mr Bean con la voce che visivamente. Non mi diverte più farlo, non è piacevole il peso della responsabilità che avverto. E’ stressante ed estenuante, non vedo l’ora di finirla».
Ecco, lo stress accumula, e l’accumulo ti stronca. La scelta di Atkinson è umanamente comprensibile. L’uomo che in realtà, come Carlo Emilio Gadda, risulta ingegnere (l’idea del suo alter ego clownesco nasce infatti nel periodo della tesi di laurea, mentre Atkinson arrotondava nei fumosi cabaret londinesi) è del ’55. Ha 65 anni suonati. Ultimamente s’era dedicato all’attivismo politico specie nel settore dei diritti civili, ramo labour; aveva abbandonato l’orsetto-feticcio Ted allegramente inquietante che l’accompagnava nelle sue sventure seriali; aveva ripreso a frequentare Shakespeare in teatro e le avventure del commissario Maigret al cinema. L’ingegnere Atkinson era cresciuto, maturato, invecchiato; e, come aveva dichiarato già una decina di anni fa al Daily Telegraph “l'infantilismo di un cinquantenne diventa un po’ triste”.
Però, poi, la regione del portafoglio –Mr. Bean possiede il tocco dorato di Creso- avevano prevalso sul rovello dell’artista.
E Mr. Bean, per quanto oramai tristemente, aveva accompagnato l’adolescenza di diverse generazioni, compresa la mia. Anche se, in quanto a mimica io preferivo il coevo Benny Hill all’interno del Drive In e -al massimo- le vecchie slapstick comedies di Buster Keaton. Il successo mondiale di Mr.Bean, d’altronde è sempre il solit:o la personificazione nell’uomo medio. Ispirato al Monsieur Hulot di Jacques Tati e alla mimica assoluta dei caratteirsti delle Hollywood anni 20, Mr. Bean, è sempre stato l’esilarante maschera della mediocrità fruibile in tutte le lingue. La definizione che ne dà Wikipedia è perfetta: “Mr. Bean è un signore che indossa un completo formale, sempre uguale in ogni puntata (giacca di tweed marrone scuro, camicia bianca, cravatta rossa e pantaloni marrone scuro), non si sa se abbia un nome di battesimo e quale esso sia, guida un'auto utilitaria (una Mini verde) e ha un orsacchiotto di peluche di nome Teddy come migliore amico; vive solo da sempre, ma talvolta frequenta, con esiti spesso disastrosi, una ragazza di nome Irma Gobb e due amici di nome Rupert e Hubert”. Un mediocre di estremo talento.
Lo spettatore accentua in Mister Bean quella che i semiologi chiamano la “sospensione dell’incredulità”; dà, cioè, per scontato che egli possa fare cose e trovarsi in situazioni impossibili finalizzate al solo scopo delle risata che arriva puntuale. Mister Bean non lavora.Risulta impiegato in qualche ditta ma non lo vedi mai in ufficio; è sempre un cliente, un paziente, un passante in attesa di un evento catastrofico. Nella terza parte dell'episodio The Return of Mr. Bean –non si sa come e perché- lo si vede attendere l'arrivo della Regina Elisabetta come parte del personale di un albergo di lusso, nel film Mr: Bean l’ultima catastrofe è il custode fannullone della British National Gallery. Ogni sua azione – dettata da cattiveria e mediocrità- innesca un meccanismo esilarante. Nella sigla di apertura della serie Mr. Bean si schianta al suolo cadendo dall'alto all'interno di un cono di luce verticale, mentre un coro di voci bianche canta in latino Ecce homo qui est faba ("Ecco l'uomo che è un fagiolo"), e s’insinua il dubbio che sia stato catapultato da un’astronave aliena sulla Terra. Dopo questo, aveva esaurito le cartucce. La pensione era per evitare che l’ultima risata scivolasse nel ridicolo...