Una realtà che ci ha colto impreparati
Come il digitale sta plasmando e minacciando le nuove generazioni
Una tragedia è in corso da circa 15 anni, soprattutto fra le nuove generazioni, ma è poco compresa e dibattuta. L'esperto di cyber risk Ettore Guarnaccia, ha scritto un libro di successo “La tragedia silenziosa” che riepiloga in modo completo la questione e che è stato presentato recentemente a Cagliari presso il festival letterario "Neanche gli Dei".
“Ne colsi i segnali 10 anni fa, quando mio figlio iniziò a interagire con dispositivi e social – commenta l'autore - si pensa che i figli siano esperti, ma sono solo abili utenti senza competenza tecnica né cognizione dei rischi. Il problema era serio e diffuso, perciò iniziai a studiarne fenomeni e rischi per poterli rappresentare e tenni il primo evento di sensibilizzazione, “Figli e Internet”, in una scuola di Padova. Fu un successo che richiamò molte richieste di replica. Oggi, dopo 10 anni di volontariato, ho incontrato oltre 6mila adulti e 4mila giovani in numerosi eventi in tutta Italia”.
Il primo libro di Guarnaccia, “Generazione Z”, derivò da un’indagine statistica senza precedenti, con ben 100 domande sottoposte a oltre 2mila giovani (8-18 anni). “La tragedia silenziosa” fu invece ispirato dal post di una psicoterapeuta canadese che denunciava un evidente aumento di disturbi psicologici, depressione e suicidi fra i giovani negli ultimi 15 anni, confermato da più fonti ufficiali italiane e internazionali. I disturbi psicologici hanno subìto un’impennata con la diffusione di massa di social media e smartphone (2010-2012) per poi aumentare ulteriormente durante la pandemia (2020-2021).
I dati ufficiali più recenti sono sconvolgenti: un giovane su quattro (12-25 anni) soffre di disturbi psicologici e del comportamento alimentare, ansia, depressione, autolesionismo e tendenza al suicidio. I suicidi in Italia sono oltre 4mila l’anno (ISTAT 2021) e per l’OMS il suicidio è la seconda causa di morte nella fascia 15-29 anni.
Che cosa ha causato un impatto così devastante sulla società, soprattutto sui più giovani?
In passato, forme di dipendenza da Internet, social media e videogiochi colpivano chi stava molto tempo in casa con computer e console di gioco, ma è stato l’avvento dello smartphone a portare queste tecnologie nelle mani degli utenti, amplificandone l’esposizione agli effetti.
Le Big Tech sfruttano abilmente meccanismi neurologici, come il condizionamento operante, il rinforzo intermittente e la ricompensa variabile, frutto degli studi negli anni ’50 di ricercatori come Pavlov, Thorndike e Skinner. L’obiettivo è massimizzare interazione e fidelizzazione dell’utente a scopo di business: maggiore è il tempo trascorso davanti al display, maggiore è il volume di dati raccolti e di pubblicità somministrata. Allo scopo sono stati introdotti in dispositivi, videogiochi e social meccanismi come like, notifiche, bauli e gestualità che attivano nel cervello degli utenti una sovraproduzione di dopamina, neurotrasmettitore che agisce sul sistema limbico, le stesse aree cerebrali interessate dalle diverse forme di dipendenza. Così si creano assuefazione e dipendenza latenti e diffuse.
Il digitale avrebbe dovuto agevolare relazioni e comunicazione tra le persone, in realtà ci ha privati di elementi fondamentali come il contatto oculare, il tono e il colore della voce, il linguaggio del corpo ed emozioni e reazioni, favorendo apatia psichica e analfabetismo emotivo, e ha indotto a diradare le relazioni sociali. Non è raro assistere a situazioni conviviali in cui diverse persone sono fisicamente assieme ma chattano con qualcuno che non c’è o scorrono immagini di vita altrui, e ciò accade anche in famiglia e nelle relazioni coniugali. Anche in coda, in sala d’attesa o sui mezzi pubblici, il primo pensiero è estrarre lo smartphone e tuffarsi nel display. Ecco perché un senso di solitudine interessa sempre più persone ed è ormai una caratteristica della società moderna.
L’essere umano è un animale sociale la cui felicità dipende fortemente dalle sue relazioni sociali e dal suo estremo bisogno di gratificazioni reali e naturali: amore, affetto, amicizia. In assenza, si generano quelli dei “buchi emotivi” che richiedono un riempimento di gratificazione: se questa non arriva in maniera naturale, allora la si cerca da fonti artificiali come sostanze o comportamenti. Lo confermano le ricerche svolte da Bruce Alexander negli anni ’70: un topo solo, terrorizzato e in una gabbia stretta non ha altra via d’uscita che abusare di acqua con eroina fino a morire, mentre in un ambiente ampio, pieno di cibo, svaghi e relazioni sociali, non ne ha bisogno, perché la sua gratificazione è naturale e appagante.
Senso di solitudine, apatia psichica, analfabetismo emotivo e dipendenza sono alla base del disagio psicologico diffuso e colpiscono soprattutto i giovani, nati e cresciuti con social e smartphone. Questo spiega fenomeni come cyberbullismo, adescamento, emulazione acritica di azioni demenziali e pericolose, glorificazione di futilità e ignoranza promosse dagli influencer, ed esposizione eccessiva del proprio corpo sui social fino alla prostituzione digitale. Basta fare un giro su TikTok, Instagram o YouTube per averne la prova. La distruzione del senso critico ha favorito una forma mentis di conformismo, obbedienza passiva, sottomissione e chiusura al prossimo, determinante per l’accettazione di restrizioni a libertà individuali e diritti fondamentali dell’essere umano. In più, il sistema di auto-alimenta in un circolo vizioso: i disturbi psicologici provocati dal digitale inducono gli utenti a ricercare gratificazioni che provengono in larga parte dal digitale stesso.
Esibizionismo, emulazione acritica e provocazione sessuale caratterizzano le nuove generazioni e indicano difficoltà nel costruirsi la propria identità e una spasmodica ricerca di approvazione e riconoscimento. Ci si costruisce l’identità su social e videogiochi in base al feedback di perfetti sconosciuti, esponendosi a eccessi dalle conseguenze disastrose e non mitigabili. Influencer e intrattenimento esaltano fama, ricchezza, beni di lusso, aspetto fisico, perfezione, sesso, ideologie innaturali e uso di droghe, a scapito di etica, sentimenti genuini e sani princìpi, e ciò può risultare devastante per tanti giovani, che si sentono inadeguati e irrealizzati, prede di ansia, depressione e disturbi psicologici, fino al suicidio. La sovraesposizione nasce spesso dai genitori, che pubblicano contenuti dei figli già dalla prima ecografia e li abituano a stare davanti a una telecamera e sui social, o li affidano a babysitter digitali, ignari del rischio di esporli a contenuti traumatizzanti che generano dissonanza cognitiva e assuefazione.
L’abuso del digitale sta modificando profondamente le nuove generazioni, sia in termini di qualità della vita (esposizione a radiazioni e luce blu, carenza di sonno, sacrificio di alimentazione, igiene e studio, diminuzione del tempo all’aperto, aumento di sedentarietà, obesità e miopia), sia con sindromi osteo-articolari che vanno dall’infiammazione di arti e dita fino alla modificazione della curvatura del rachide cervicale (la gobba). L’intelligenza si sposta dall’uomo ai dispositivi smart e diminuisce il quoziente intellettivo espresso per le ripetute interruzioni d’attenzione causate da frequenti notifiche. Si è sempre meno capaci di pensare e ragionare, come confermano le prove INVALSI più recenti: un diplomando su due non raggiunge il livello minimo in italiano e matematica.
Quante altre prove ci servono per svegliarci? Siamo stati lasciati soli a confrontarci con tecnologie cui non eravamo minimamente preparati, totalmente esposti a rischi e pericoli, senza alcuna sperimentazione controllata. Nel frattempo, le Big Tech preparano il metaverso, nuovo passo evolutivo per il digitale, ma involutivo per la società. Il tema si è un po’ raffreddato, ma l’appuntamento è solo rimandato, perché la tecnologia retrostante non è del tutto pronta per la diffusione di massa: dispositivi ingombranti, digital divide, fibra e 5G che stentano, intelligenza artificiale immatura, capacità elaborativa ancora lontana dall’iperrealismo e disaccordo sull’interoperabilità di dispositivi, piattaforme e contenuti. Ancora qualche anno e il metaverso diverrà via di fuga quotidiana di miliardi di utenti alla ricerca di gratificazioni che social, smartphone e videogiochi non potranno garantire. Il cambiamento sarà profondo e devastante, sarà bene arrivarci preparati.