Storia patria

Ricordato l'80° dell'europeista Manifesto di Ventotene, dimenticati i 200 anni di Anita Garibaldi

Per uno di quegli strani paradossi della storia, nel periodo in cui maggiormente si tende a rivalutare la figura femminile, è stata del tutto dimenticata dalle Istituzioni l’eroina delle eroine italiane, la creola brasiliana Anita Garibaldi, nel 200° della nascita. Stessa sorte era toccata, in luglio, alla principessa Cristina di Belgiojoso  nel 150° della morte QUI  Queste donne straordinarie forse scontano la pecca di aver tessuto i destini del nostro Risorgimento, come vere “Parche” in tricolore. E la storia patria, si sa, non va più di moda. Ad Anita è stato preferito l'80° del Manifesto di Ventotene dei fratelli massoni Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. QUI

Così - ironia - l’omaggio più importante a lei tributato resta ancor oggi il monumento bronzeo sul Gianicolo, a Roma, opera di Mario Rutelli, voluto e inaugurato nel 1932 da Mussolini alla presenza dei Sovrani: “Il governo fassista – declamava il Duce con l’inconfondibile accento romagnolo - rappresenta Anita galoppante, come guerriera che insegue il nemico, e madre, che protegge il figlio” . QUI

Ma, realmente, Anita seppe coniugare queste due anime così apparentemente lontane? Negli ultimi decenni, spesso è stata dipinta come una sorta di pasionaria proto-femminista, anche attingendo a un’aneddotica quasi del tutto priva di riscontri storici. Della sua vita, prima dell’incontro con Garibaldi, si sa pochissimo, se non che era nata intorno al 30 agosto 1821, figlia di un mandriano di Laguna, nello Stato brasiliano di Santa Catarina.

Nel luglio 1839, era già sposata con Manuel Duarte de Aguiar quando incontra Giuseppe Garibaldi: i due si innamorano perdutamente e già in ottobre la diciottenne Anita è imbarcata su una nave. Per dieci anni condividerà l’inquieta e pericolosa vita di Garibaldi combattendo al suo fianco, in ruoli di difesa munizioni o persino in attacchi navali e terrestri.

Un anno dopo, durante la battaglia di Curitibanos, viene catturata dalle truppe imperiali brasiliane: ottenuto il permesso dal comandante nemico di cercare il cadavere del suo uomo sul campo di battaglia, ruba un cavallo e riesce a scappare. Era infatti una straordinaria cavallerizza, tanto che, si dice, perfezionò  lo stesso Garibaldi nell’arte di cavalcare.

Nello stesso anno, nasce il primogenito Domenico Menotti chiamato così in onore del patriota modenese Ciro Menotti. Pochi giorni dopo il parto, gli imperiali circondano la sua casa, uccidono le sentinelle e tentano di farla prigioniera, ma Anita, con il neonato in braccio, scappa da una finestra, monta in sella e si dilegua nel bosco dove riesce a sopravvivere per quattro giorni, senza viveri e con il bimbo al petto, finché Garibaldi e i suoi non la trovano.

Proprio da quel pargoletto discende donna Costanza Ravizza Garibaldi che ci racconta: “Menotti, che la ebbe fino ai nove anni, la ricordava come una madre dolcissima. Fu una donna che seppe adattarsi a qualunque situazione: quando c’era da combattere, combatteva come un uomo, e quando c’era da fare la mamma stava in casa e badava ai figli. Di lei ci sono rimaste poche “reliquie”: in famiglia conserviamo il piatto da lei usato fino a pochi giorni prima di morire di febbri, al 5° mese di gravidanza, durante la ritirata dalla sconfitta Repubblica Romana, nel 1849. Poi uno scialle, un vestito e un paio di forbici da sarta, conservati in vari musei del mondo. Ma l’esempio che lascia alle donne di oggi è quello di una donna a tutto tondo: adattarsi, , affrontare la vita con forza e coraggio, senza lamentarsi e mantenere il nostro carisma femminile, che non coincide col «diventare uomini», ma nel rimanere quello che siamo”.

Un grazie all’Istituto Internazionale di Studi e la Società Mutuo Soccorso “Giuseppe Garibaldi” che il 3o agosto hanno omaggiato le spoglie dell’Eroina dei Due Mondi presso il suo monumento.